Dopo il poco convincente ed eccessivamente smieloso “Sworn To A Great Divide” i Soilwork tornano alla carica con il nuovo “The Panic Broadcast”, un album che mantiene le inclinazioni melodiche del suo predecessore ma con una ritrovata aggressività in chiave chitarristica, con nuove soluzioni thrash che grazie ai tanti assoli e riff taglienti riportano a galla una band che pareva ormai in crisi compositiva, schiacciata dal successo degli In Flames e delle tante band metalcore.
Si parte con “Late for the kill, Early for the slaughter”, pezzo veloce e martellante dove pare esserci la giusta combinazione di parti melodic death e thrash tanto che il risultato finale non è poi così tanto diverso dalle ultime produzioni dei Devildriver. Con le discrete “Two lives worth of reckoning” e “Deliverance is mine” pare di essere tornati ai tempi di “Figure Number Five” con i suoi attacchi nu/melodic death uniti ai ritornelli clean di Bjorn Strid.
Con la bella “Nights comes clean” l’album comincia ad entrare nella sua parte più melodica, che prosegue con “Let this river flow” (in cui compaiono anche le chitarre acustiche), “Epitome” e “The akuma afterglow”, tre pezzi in cui le melodie di Strid mostrano una certa affinità con i gruppi pop/new wave anni ottanta (Duran Duran e Tears For Fears per dirne alcuni), influenze che si erano percepite anche nella precedende release. In chiusura l’album riprende l’aggressività iniziale con le non trascendentali “Enter dog of pavlov” (di cui però mi piacciono molto gli avvolgenti riff iniziali) e “Sweet demise”.
Se il precedente album vedeva i Soilwork annaspare inesorabilmente, il nuovo “The Panic Broadcast” li riporta a dei livelli accettabili anche se si ha come la sensazione che la band non abbia ancora trovato il coraggio di abbandonare definitivamente il proprio passato melodic death per passare ad un metal più tradizionale, cosa che alla lunga potrebbe rivelarsi controproducente.