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UNDEROATH
Ø (DISAMBIGUATION)
Il quinto lavoro su lunga distanza degli Underøath nasce senza dubbio nel segno dell’assenza di Aaron Gillespie, rimpiazzato dall’ex Norma Jean Daniel Davison. Se vi interessa la mia personale opinione, non ho mai ritenuto Gillespie un fenomeno né alle pelli, né per quanto riguarda le linee vocali e quindi, di conseguenza, non ho mai pensato il gruppo avesse perso più di tanto nello scambio. Oltretutto gli Underøath sono passati attraverso una serie così fitta di cambi di line-up nei diversi anni da non lasciar adito al dubbio che qualcosa potesse incepparsi a causa dell’ennesimo cambio di formazione.
Eppure ascoltando questo “Disambiguation” pare proprio che qualcosa non funzioni più. E’ difficile spiegare cosa tuttavia, visto e considerato che per quanto riguarda le parti di batteria l’innesto di Davison porta più tecnica e soluzioni spesso meno lineari e prevedibili mentre sul versante delle clean voices Chamberlain e McTague colmano il vuoto lasciato da Gillespie senza problemi, anzi, dando forse ancora più spazio alle parti pulite. Resta solo da ipotizzare quindi che la perdita più grande la band l’abbia subita a livello compositivo, portando alla release di un disco che la mia professoressa di italiano delle medie classificherebbe come “formato da poche idee e per altro confuse”.
Va sottolineato come i due precedenti lavori, sia “Define the great line” che il da me idolatrato “Lost in sound of separation” siano dischi difficili da eguagliare, rasentando entrambi in maniera diversa la perfezione del disco hardcore in questi anni zero (no, non dite metalcore, vi prego). Un calo quindi era forse da mettere in preventivo.
Onestamente però, il dislivello qui è fin troppo pronunciato. Il disco si apre con “In division” e si capisce da subito come a questo disco manchi il tiro. Non è che si stia parlando di un disco molle, tantomeno di un lavoro ruffiano, eppure fin dal principio ci si accorge come questa volta la decisione sia quella di lasciare molto più spazio alle melodie. Non fraintendetemi, non si parla di una sorta di ritorno ai temi di “They’re only chasing safety”, ma piuttosto di una dilatazione macroscopica dei momenti più pacati e riflessivi presenti negli ultimi due dischi. Per due terzi del lavoro quindi ci si trascina stancamente avanti senza mordente, spaziando tra pezzi discreti, frequenti autocitazioni e riempitivi a mio avviso poco più che inutili quali “Driftwood” e “Reversal”.
Come detto qualcosa di buono c’è, “Paper lung” per esempio, ma anche “Illuminator” e “Who will guard the guardians” non sono da buttare. Solo sul finire si apre al tentativo di dare una botta di vita al tutto, con “Vacant mouth” e “My deteriorating incline”, ma il tutto viene concluso maluccio dalla finale “In completion”.
Insomma, analizzando la discografia della band partendo da “The Changing of Times” ed arrivando fino ad oggi questo “Disambiguation” si piazza sui livelli più bassi. Chiariamo, non si tratta certo del peggior disco che possa capitarvi per le mani in questo 2010, ma certamente nemmeno del migliore. Ironia della sorte molto meglio di loro hanno fatto gli ex compari di Davison, rilasciando il più che discreto “Meridional” (recensione) qualche mese fa.
Manq
Voto: 5
TRACKLIST:

01. In division
02. Catch myself catching myself
03. Paper lung
04. Illuminator
05. Driftwood
06. A divine eradication
07. Who will guard the guardians
08. Reversal
09. Vacant mouth
10 – My deteriorating incline
11 – In completion