I Brankiller sono un ibrido, un amalgama strano e difficilmente delimitabile. Potremmo definirlo un mostro, più precisamente un Cerbero, il mitico mostro a tre teste della mitologia greca.
Infatti Brainkiller è frutto di tre belle teste pensanti: quella di Brian Allen (trombone), quella di Jacob Koller (piano e fender) e quella di Hernan Hecht (Batteria). Tre musicisti dalle spalle larghe, ognuno dei quali ha maturato esperienze internazionali nell’ambito jazzistico.
“The infiltration” vuol dire essenzialmente Jazz, che qui assume un ruolo di partenza e di arrivo mente in mezzo c’è tutto un mondo fatto di classica d’avanguardia e Art rock e svariate altre influenze; si va da Coltrane a Monk, passando allo stesso tempo per i Led Zeppelin, Xenakis, e Astor Piazzola. Insomma ce n’è per tutti, ed il modo migliore per capirli è semplicemente ascoltarli.
Va detto che il pregio più importante della band è quello di non creare musica di pura avanguardia fine a sé stessa e sconclusionata. Ogni pezzo ha le sue influenze e stravaganze, ma non si ha mai l’impressione di perdersi o di non saper bene dove si voglia andare a parare.
Sono pezzi tutti abbastanza ritmati e coinvolgenti: la noia da qui è ad anni luce, grazie anche alla durata media dei brani che si avvicina ai tre minuti. Niente divagazioni senza approdo e soprattutto nessuna forma di egocentrismo o sterile esercizio di bravura: qui ogni suono è lì perché è funzionale nell’esprimere qualcosa, anche se naturalmente il livello tecnico è elevatissimo.
Questo “The infiltration” lo consiglierei anche a chi (come me) non è avvezzo nell’ascolto quotidiano del Jazz. Per chi volesse abbandonarsi alla piacevole scoperta di altre forme di musica non convenzionali, ma comunque facili (ma complesse allo stesso tempo), questo è un disco da prendere ad occhi chiusi.
Terminerei così: Brainkiller, non solo per gli addetti ai lavori.