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ARCTIC MONKEYS
SUCK IT AND SEE

Quando due anni fa uscì il terzo album degli Arctic Monkeys “Humbug” non furono in pochi a rimanere disorientati davanti ad un lavoro che segnava in parte l’abbandono del loro “british-style” a favore di sonorità più tipicamente californiane, tra ambientazioni desertiche ed influenze psycho-stoner anni ’60 frutto di una crescita artistica che forse non tutti erano ancora pronti ad assimilare pienamente.
Ad imprimere questa svolta incanalando il quartetto di Sheffield verso nuovi percorsi sonori fu Josh Homme, leader dei Queens Of The Stone Age la cui ombra continua ad aleggiare anche sul nuovo “Suck It And See” scontrandosi però con il passato della band, perché in cabina di regia questa volta c’è l’amico produttore James Ford, già al lavoro su “Favourite Worst Nightmares”.
Cosa scaturirà mai da questo incontro fra vecchio e nuovo? La risposta è molto semplice: un gran bel disco.
“Suck It And See” è infatti un album maturo, un album più accessibile rispetto al suo predecessore, più piacevole all’ascolto e dunque per questo motivo anche più “pop” proprio come anticipato in un’intervista dal batterista Matt Helders, perché i ritmi si sono ammorbiditi, le distorsioni sono meno rumorose e le melodie sempre più presenti.
Le scimmie questa volta si presentano con un look più elegante che mai, “She’s Thunderstorms” è una ballad che apre le danze cullando l’ascoltatore nella sua atmosfera romantica ed introducendolo alla successiva “Black Treacle”, un’altra composizione molto orecchiabile che strizza l’occhio ai Beatles del periodo “Revolver”.
Non c’è bisogno di attendere molto per incontrare i primi momenti più infuocati, quelli caratterizzanti la parte centrale del disco, quelli dove le chitarre esplodono in riff sporchi e grezzi, quelli dove i quattro hanno solo voglia di fare rock’n roll (“Brick By Brick”), di rimescolare le carte in tavola e rivisitare il proprio stile donandogli qualche sfumature vintage (“All My Own Stunts” e “Library Pictures”).
Un sussulto che dura giusto il tempo di quattro pezzi per poi passare nuovamente a tonalità più soft con “Reckless Serenade”, la stupenda “Piledriver Waltz” (apparsa in versione più spoglia nel lavoro solista del frontman Turner intitolato “Submarine”), l’ipnotica title-track e la conclusiva “That’s Where You’re Wrong” che rievoca gli Smiths degli anni d’oro.
Piacciano o meno anche nella loro veste più pop questi ragazzi fanno dunque la loro bella figura confezionando un disco che rappresenta un perfetto punto d’incontro tra chi impazziva per le sonorità più frizzanti ed energiche degli esordi e chi invece predilige quelle più oscure presenti in “Humbug”. 
Gli Arctic Monkeys sono dunque la più grande rock band inglese dai tempi degli Oasis? Direi che allo stato attuale i dubbi sono pari a zero.

Whitelocust
Voto: 8,5
TRACKLIST:

1. She’s Thunderstorms
2. Black Treacle
3. Brick By Brick
4. The Hellcat Spangled Shalalala
5. Don’t Sit Down ‘Cause I’ve Moved Your Chair
6. Library Pictures
7. All My Own Stunts
8. Reckless Serenade
9. Piledriver Waltz
10. Love Is A Laserquest
11. Suck It And See
12. That’s Where You’re Wrong