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TAKING BACK SUNDAY
TAKING BACK SUNDAY

Questa recensione è passata attraverso diverse stesure. Un po’ perché ritenevo complicato parlare di un disco così senza introdurre almeno un minimo la storia che gli sta dietro, un po’ perché dopo i primi ascolti avevo scritto una pagina fittissima di insulti.
Per quanto riguarda la storia ho pensato che chi legge questa recensione o la conosce già, oppure se la può andare a guardare su internet.
Per quanto invece riguarda la mia valutazione direi che qualche giorno ha aiutato a maturare una valutazione meno drammatica. “Taking back Sunday” è il quinto album della band, il primo dopo l’esordio a vedere alla stesura la formazione originale. Gran parte delle aspettative arrivavano proprio da lì e dalla demo di “Best places to be a mom” rilasciata mesi fa, in cui il prepotentissimo ritorno degli intrecci vocali tra Adam Lazzara e John Nolan aveva riportato la mente del sottoscritto a quel fantastico disco che è “Tell all your friends”.
Purtroppo però, l’album completo si è rivelato ben distante da quell’idea. La mia impressione è che i cinque di New York si siano sentiti costretti a fare un disco “che piacesse” e questo li abbia portati a mettere insieme un po’ di materiale abbastanza sconnesso e con orientamenti molto differenti tra le tracce, rendendo complicato il percepire il tutto come un disco vero e proprio. Il lavoro parte infatti con “El Paso”, pezzo in cui a me pare piuttosto evidente il tentativo di emulare l’ultima deriva Brand New. Grida, ritmiche abbastanza serrate e sfogo di una cattiveria che però convince pochino, tant’è che a fine pezzo non ce ne sarà più traccia per tutto il resto dell’album. A seguire troviamo “Faith (When I let you down)”, dove viene piazzata un’apertura da sing along che sembra scritta da Jared Leto. Ancora, dei Taking Back Sunday per come li intendo io, non c’è traccia. Quando finalmente si arriva alla previa citata “Best places to be a mom” ci si rende conto che, in fase di produzione, quel sapore old style è stato lavato via ben bene. Le due voci ci sono ancora, ma adesso suonano finte, troppo pulite per comunicare le emozioni che una volta trasudavano.
Il disco procede per undici tracce ed è un continuo cambio di atmosfera. Ci sono le ballatone da “ballo del liceo” (“Sad savior” e l’oscena “Call me in the morning”), ci sono i ritornelli da teenager (“Since you’re gone”) e qua e là qualche interludio vecchia maniera, più che altro accennato, come in “Who are you, anyway?”,  “This is all now” e in “It doesn’t feel a thing like falling”. Insomma, ce n’è per tutti i gusti. Come dicevo la produzione è talmente precisa da avere quel sapore di plastica che in un disco così risulta controproducente, ma è innegabilmente curata.
Alla fine, se devo dire la mia, tolti alcuni passaggi veramente vergognosi, non si può dire che questo sia un disco brutto. Certo, non serviva ricomporre la line up originale per farlo, ma come dicevo forse l’ansia da prestazione ha giocato un brutto scherzo. A differenza di molte, troppe altre band ho apprezzato che la reunion non sia stata cavalcata per girare in tour e fare soldi, ma abbia portato a scrivere pezzi praticamente nell’immediato. L’ho trovato indice di avere cose da dire. Probabilmente serve solo un assestamento. Sarò illuso, ma son convinto che questi cinque insieme abbiano ancora molto potenziale. Ecco, l’avessero tirato fuori per questo self titled non sarebbe stata una brutta idea.

Manq

TRACKLIST:

01 – El Paso
02 – Faith (When I let you down)
03 – Best places to be a mom
04 – Sad savior
05 –Who are you, anyway?
06 – Money (Let it go)
07 – This is all now
08 – It doesn’t feel a thing like falling
09 – Since you are gone
10 – You got me
11 – Call me in the morning