In soli cinque anni scarsi ed un paio di album ben riusciti i Five Finger Death Punch sono riusciti ad emergere dalla massa e a crearsi un nutrito schieramento di sostenitori in tutto il mondo, forse anche grazie all’esplosione degli Stone Sour di cui i FFDP riprendono alcune caratteristiche oltre ad avere un cantante straordinario come Ivan Moody (ex Motograter) in possesso di doti vocali veramente molto simili a quelle di Corey Taylor.
Per tutte le band la prova del terzo album è sempre la più difficile ed i FFDP decidono di affrontarla senza particolari stravolgimenti: le differenze più marcate con il passato si trovano forse nell’uso della melodia che in questo “American Capitalist” appare più sostanziosa e curata mentre invece i pezzi heavy accompagnati dallo screamo di Moody sembrano un po’ meno incisivi.
Tutto sommato la band americana mantiene una sua certa originalità unendo ed amalgamando vecchi elementi presi da Pantera (“Under And Over IT”), i primi Stone Sour (le bellissime melodie di “Coming Down” e “Back For More”), Slipknot (“Menace” e “100 Ways To Hate”) fino ad arrivare alle ballate rock in classico stile americano facendo il verso un po’ a Nickelback o agli ultimi Stone Sour come su “Remember Everything”, creando un amalgama che si può definire metal moderno senza sentirsi obbligati a citare il nu metal.
Questo “American Capitalist” appare un po’ più patinato dei suoi predecessori ("The way of the fist" e "War is the answer") ma rappresenta comunque un buon ascolto e conferma il potenziale di una band che a mio parere già oggi è ben superiore a quello degli ormai noiosi Stone Sour, perché il buon Ivan Moody è molto più bravo del vecchio Taylor nel gestire il passaggio tra melodie pulite e screamo. Il classico caso in cui l’allievo supera il maestro.