Con una "benedizione" importante come quella data dal Boss e tre album di notevole successo alle spalle, The Gaslight Anthem escono con quello che probabilmente è l'album più importante della loro carriera, vuoi per l'approdo ad una major, vuoi per essere stati prodotti da un certo Brendan O'Brien.
Tutte queste premesse si traducono in "Handwritten", un disco che non sposta di una virgola quanto fatto fino ad oggi dalla band americana, ma ne conferma le indubbie qualità sia in termini di sogwriting che di compattezza strumentale. Non possiamo certamente parlare di musica innovativa sia chiaro, ma questi ragazzi sanno davvero il fatto loro e hanno nel cantante/chitarrista Brian Fallon un fattore determinante.
"45" è il pezzo perfetto per aprire l'album: un ritmo incalzante di batteria, chitarre energiche e  melodie di facilissima presa fanno di questo canzone punk rock un sicuro cavallo di battaglia per i prossimi set live.
L'influenza del loro più illustre concittadino Springsteen aleggia spesso tra le canzoni, a volte colpevoli di essere un pò troppo simili tra loro nelle sequenze degli accordi nei ritornelli, con risultati buoni ("Keepsake", "Desire") e altri meno ("Handwritten", "Biloxi Parish").
I livelli compositivi si alzano notevolmente col blues di "Too much blood", in cui Fallon da sfoggio delle sue calde corde vocali, e la trascinante "Howl", altro brano accompagnato da coretti pronti ad esplodere in sede live.
Si chiude con il delicato inno folk "National Anthem" e anche qui si abbia la sensazione del pezzo già sentito da qualche altra parte.
La prova dei giovani ragazzi chiamati al salto di qualità è in ogni caso più che sufficiente in attesa di capire quanto potranno ritagliarsi uno spazio nel posto dei grandi.