groovebox
Dal 6 ottobre riparte GROOVE BOX su Radio Lupo Solitario 90,7 FM!
La trasmissione andrà in onda ogni Giovedi dalle 20 alle 21!
Per contattarci in diretta:
sms: (+39) 334 2247977
E-mail: onair@radiolupo.it
Groovebox
BLACK SABBATH
13

Non è semplice parlare dei Black Sabbath 35 anni dopo la loro ultima uscita discografica con Ozzy dietro al microfono. Per alcuni può anche sembrare fuori luogo che qualcuno che neppure era nato all'epoca della loro ultima fatica insieme, possa esprimere un giudizio riguardo un monumento della storia del Rock. Perché in fondo di questo stiamo parlando. I Black Sabbath SONO la storia. Perché l'hanno scritta. Perché ne sono (e resteranno per sempre) dei protagonisti. La risposta a tutti questi dilemmi si chiama “13” un album figlio di questa epoca. Qualcun altro a questo punto potrebbe anche chiedersi che bisogno c'era di avere una nuova pubblicazione a nome Black Sabbath. Anche qui una risposta in parte c'è e l'ha fornita Ozzy in una recente intervista:


Ragazzi abbiamo 60 anni. Molti della nostra generazione non ci sono già più.Noi abbiamo l'occasione di scrivere forse davvero l'ultimo capitolo della nostra storia e perché non farlo?”


In realtà le ragioni saranno sicuramente di altra natura (economica?) ma noi siamo degli eterni romantici e vogliamo credere alle storie che ci racconta nonno Ozzy. “13” viene quindi alla luce sotto le migliori intenzioni, ma allo stesso tempo viene immediatamente funestato da drammatici episodi. Poco prima di rinchiudersi in studio infatti, Toni Iommi scopre di essere affetto da un cancro. A Jack, figlio di Ozzy, viene invece diagnositcata la sclerosi multipla. Coincidenze forse. Terribili coincidenze. La realtà è che “13” è stato indubbiamente segnato anche da questi avvenimenti. Oltre naturalmente all'abbandono (prima ancora di iniziare) da parte di Billy Ward dietro le pelli. Un addio doloroso e polemico a cui, solo dopo le registrazioni, Ozzy ha dato una motivazione credibile che non fosse quella strettamente economica paventata dal batterista. Ward non era più capace di sostenere fisicamente un concerto per intero e probabilmente anche dal punto di vista compositivo i limiti erano considerevoli. 

Credendo o meno ai racconti di Ozzy (che comunque ha sempre difeso a spada tratta il suo amico di vecchia data) il fatto è che l'album è stato registrato da Brad Wilk (ex- Rage against the machine ed Audioslave) e scelta migliore non poteva esser fatta. A volerlo fortemente è stato il deus ex-machina Rick Rubin, produttore nonché artefice del sound dell’album. Pare che prima delle registrazioni Rubin abbia rinchiuso l'intera la band costringendola ad ascoltare ripetutamente il primo album della band così da “rievocarne” quasi il sound nelle membra dei 3 di Birmingham.


Rubin:” i Sabbath non sono una band heavy metal. E neppure hard rock. Sono una band blues ed il primo album ne è la dimostrazione”


Ozzy non l'ha presa bene perché riteneva che il loro sound si fosse evoluto e che comunque non dovessero ripetere qualcosa di già fattto. Ma nonostante questo, si è comunque messo al 100% a disposizione del guru Rubin. I risultati gli hanno dato ragione.


“13” non è un album epocale o indimenticabile. Non è l'album dell'anno e non è neppure la risurrezione di una band storica. E' semplicemente un dannato ottimo album. Uno di quelli che si ha piacere ad ascoltare a fondo, con i suoi limiti ed alcuni grandi pregi. Le prime due tracce per esempio fanno gridare al miracolo.


“Is this the end of the beginning or the beginning of the end” urla acidulo Ozzy dopo un'intro epica di Iommi. Una frase straziante ed universale in cui tutti possono ritrovarsi. Il primo brano è una cavalcata rock possente dall'incedere maestoso, oscura e profonda, insomma una stupenda traccia in pure stile sabbatthiano. Segue “God is dead?” che è anche il singolo estratto prima dell'uscita dell'album. Anche qui per fortuna parliamo di un brano davvero travolgente. “Is god really dead?” Un brano di 8 minuti che non si fa alcuna difficoltà a sentire dall'inizio alla fine nei suoi ripetuti cambi di stile ed atmosfere. 

I brani centrali non toccano le stesse vette di eccellenza, ma comunque sono pezzi piacevoli che non fanno per nulla rimpiangere il sound ‘70ies. C’è anche la ballad acustica marchio di fabbrica della band (Zeitgeist) con bonghi per la parte ritmica ed uno Iommi in stile Santana. Alcuni brani forse si perdono per l’eccessiva ridondanza (Live forever ) o per dei suoni un po’ datati (Age of Reason).

I momenti migliori, come aveva giustamente intuito Rubin, sono quelli in cui le venature metal lasciano il passo ad un più incisivo spirito blues venato dalla lenta oscurità dei suoni del duo Iommi/Butler ed esaltati dallo stridore della voce di Ozzy. Così è per Damaged soul, un rock cadenzato ma energico di chiaro stampo Hendrixiano. O per Dear Father con un riff potente, inframmezzato da un ritornello che si stampa facilmente in testa per l’intensità emotiva di Ozzy e la potenza espressiva del suo messaggio 

“Dear Father, forsaken, You knew what you were doing, In silence, your violence  Has left my life in ruins, yeah!  In ruins, yeah!”

Ozzy non è il ragazzotto di una volta e si sente. Ma si sente anche il cuore e la passione che una vera leggenda come lui poteva anche evitare di mettere. La sezione ritmica con l'inedita accoppiata Geezer Butler/Brad Wilk non sbaglia un colpo. Forse non eccelle in originalità ma l'intensità rock c'è tutta e l'impatto sonoro regge al trascorrere del tempo. Oltre Rick Rubin che è stato capace di indirizzare e guidare sulla giusta ed onesta strada la band, il cuore e la spina dorsale di quest'album è però da riconoscere nel lavoro compiuto da Tony Iommi. Se devo esser sincero fino ad oggi pensavo che gran parte della grandezza dei Sabbath fosse nell'ensemble con l'aggiunta dell’inimitabile voce di Ozzy. Non dico che mi ricredo ma Iommi è di certo l'asso che scompiglia le carte della band. E' l'uomo in più, è la superstar. Forse ispirato dalla sua cattiva condizione fisica e voglioso di lasciarci un ultimo grande ricordo, Iommi qui si è espresso a livelli altissimi. Anche i brani meno riusciti, restano comunque godibili proprio per i riff e la genialità di un chitarrista che ha segnato i tempi ed ancora oggi riesce a dire la sua illuminandoci con la sua versione di Rock. Un maestro di tutti i tempi che “13” ha contribuito ad confermare nell'Olimpo dei più grandi della storia della musica “hard”.

“13” alla resa dei conti risulta un album onesto ed altamente professionale.

Senza alcuna pretesa di cambiare la storia del rock perché loro, i Black Sabbath, l'hanno già fatto e più volte. Un album che non infanga assolutamente la memoria degli anni '70, ma allo stesso tempo evita anche di farne il verso con una piatta rilettura posticcia priva di gusto e sensibilità.

Nessun rimpianto e nessuna sorpresa insomma, solo dell'ottimo rock targato Black Sabbath. Ecco cos'è “13”. 

Eliseo Morese
Voto: 7
TRACKLIST:

  1. End of the Beginning – 8:05
  2. God Is Dead-  8:52
  3. Loner – 4:59
  4. Zeitgeist – 4:37
  5. Age of Reason – 7:01
  6. Live Forever – 4:46
  7. Damaged Soul – 7:51
  8. Dear Father – 7:20