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ADEMA
PLANETS
Se i Trust Company devono buona fetta della loro popolarità italiana ad un concerto di spalla ai Korn in quel di Reggio Emilia (settembre '02), anche gli Adema devono assolutamente ringraziare i capostipiti del nuovo metal per l'apporto di pubblicità e visibilità all'interno del nostro panorama musicale: come tutti sanno infatti l'ex leader degli Adema è nientemeno che Marky Chavez, il fratellastro di Jonathan Davis. Ex leader appunto.
Ex poichè dopo un ottimo esordio segnato dalla vendita di un milione di copie del loro album di debutto, sono stati pochi i fan a rimanere fedeli e le successive disastrose vendite del secondo album "Unstable" hanno portato prima la separazione dalla Arista Records e successivamente l'abbandono da parte del loro maggior punto di forza mediatico, ovvero l'imparentato korniano di cui sopra.
Tagliato una volta per tutte il cordone ombelicale è arrivato il momento di pensare al terzo capitolo della loro storia, ripartendo dall'ingaggio di uno sconosciuto cantante di origini italiane di nome Luke Caraccioli assieme all'approdo alla Earache Records, etichetta da sempre famosa per produzioni più estreme rispetto agli Adema.
Viene così realizzato "Planets", un album ben prodotto e ben suonato ma tristemente anonimo; se prima consideravate gli Adema una scopiazzatura dei Korn ora potrete considerarli una scopiazzatura degli Chevelle: la voce di Luke Caraccioli è bella, pulita, melodica ed intonata, i suoni sono curati e suonati in maniera migliore rispetto ai sopracitati Chevelle, ma il tutto risulta tremendamente banale e già sentito.
"Barricades In Time" e "Rise Above" sono due malinconiche ballate elettriche così come la title-track "Planets", con l'unica differenza di una lieve accelerazione in quest'ultima; "Tornado" è la canzone più tirata e forse per questo più apprezzabile; "Shoot The Arrows" è l'emblema fatto e finito di quasi tutto il resto del disco, composto da canzoni caratterizzate da riff smussatamente aggressivi dominati da virtuosismi vocali prettamente puliti e melodici, un cantato quasi assonnato saltuariamente interrotto da brevi risvegli. Leggere diversità sonore vengono attuate in "Until Now" e "Vikraphone", stilisticamente più grezze ed avvicinabili al marchio Nickelback ma nel complesso poco distanti dalla genericità del disco.
La qualità oggettiva delle canzoni rimane comunque discreta e molto commerciabile, il disco passa via facilmente orecchiabile e persino rilassante ed ipnotico, non è un capolavoro ma al tempo stesso nemmeno un obrobrioso cumulo di noiosi suoni irritanti; personalmente li preferivo brutta copia dei Korn, probabilmente qualcun'altro preferirà la novella versione Chevelliana, uno stile comunque sempre ben accolto dai miei padiglioni auricolari. De gustibus non disputandum est.
Tempo
Voto: 6
TRACKLIST:

01. Shoot the Arrows
02. Barricades In Time
03. Tornado
04. Sevendfold
05. Planets
06. Enter the Cage
07. Remember
08. Chel
09. Until Now
10. Rise Above
11. Better Living Through Chemistry
12. Refusing Conciousness
13. Vikraphone
14. Estrellas