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ORGY
PUNK STATIK PARANOIA
Sono passati ben quattro anni dall’ultima prova discografica degli Orgy: inutile negare che – nonostante il lieto fine – questo lungo periodo sia stato segnato da problemi insorti nei mesi immediatamente posteriori a “Vapor transmission”, difficoltà che hanno in qualche modo minato la saldezza del gruppo californiano. Lo split dalla Reprise Records (e, di conseguenza, anche dalla korniana Elementree) ha convinto il frontman Jay Gordon a fondare una propria indie-label, chiamata D1 Music; “fai-da-te” vuol dire più libertà e meno pressioni esterne ma significa anche meno visibilità a livello di promozione e distribuzione ed in generale meno possibilità tecnico-finanziarie rispetto ai mezzi ed ai fondi sterminati di una major. La seconda tegola capitata alla band di “Blue Monday” è stato il divorzio, sia pur in termini amichevoli, con il batterista Bobby Hewitt: anche qui non è mancato il finale rosa, con il ritorno all’ovile del musicista (scelta di comodo, visto anche il naufragio degli Snake River Conspiracy, in cui aveva raggiunto il fratello gemello Fab) a cavallo tra la fine del 2003 ed i primi mesi del 2004… ma l’episodio ha comunque fatto affiorare quella che potrebbe essere la punta di un iceberg di dissapori e di amarezze… Gordon ed Hewitt, con Ryan Shuck, Amir Derakh e Paige Haley, sono assieme dal lontano 1997… dopotutto non si mai vista un’“orgia” così costante e duratura!
“Punk statik paranoia” nasce dunque da una situazione di crisi mascherata ma generalizzata e più che esserne la medicina ne rappresenta il virulento sfogo terminale. L’album (che, tra parentesi, quantunque sia opinabile in termini di “staticità” e “paranoia”, non ha nulla di “punk”) è composto solamente da nove tracce: non se ne vedevano così poche, in un full-lenght, dai tempi di “Dysfunction” degli Staind, che perlomeno incorporava una ghost-track aggiuntiva… La libertà e l’indipendenza creativa della produzione casalinga iniziano ad assomigliare subito a svogliatezza, per prendere poi anche i toni della ripetitività: “Vague” è il classico synth-nu-metal che ci si aspetta in casa Orgy, come pure la semplice ma carina “Can’t take this” ed “Ashamed”, che, causa il suono del basso sembra a tratti un pezzo dei Deadsy (band in cui, nota bene, Jay Gordon ha brevemente militato prima di formare gli Orgy). Il leitmotiv è pressoche rispettato anche da “Leave me out” e “Beautiful disgrace”, una più Duran Duran e l’altra più crossover, ma caratterizzate entrambe dalle spiazzanti velleità da rapper del cantante Jay Gordon… saranno gli effetti dell’amicizia con i Crazy Town… ma d’altronde anche Simon LeBon e soci hanno inciso una cover dei Public Enemy…! Sorpassato il brano super-melodico alla Linkin Park della situazione (“Make up your mind”) giungiamo al peggio del cd, cioè la noiosa e smidollata “Pure”, la banalissima “Inside my head” ed il singolo “The obvious”, debole di per sé e dotato inoltre di un ritornello inconsistente (a nulla servono gli sforzi del chitarrista ospite, Troy Van Leeuwen degli A Perfect Circle).
Inferiore per freschezza a “Candyass” e per “sex-appeal” al fantascientifico “Vapor transmission”, “Punk statik paranoia” si dimostra l’album peggiore degli Orgy, un’occasione malamente sprecata che non sfrutta minimamente l’assist della new wave del nuovo millennio (Interpol e Franz Ferdinand ne sono le avanguardie) che sta riproponendo, adeguandole ai gusti moderni, le sonorità degli anni ’80: il rito orgiastico dei profeti del “Revival” (canzone di “Candyass”, in cui cantava anche Jonathan Davis) si interrompe sul più bello, coi versi di piacere che lasciano il campo a mugugni di insoddisfazione…
Silvio52
Voto: 5
TRACKLIST:

1. Beautiful Disgrace
2. Vague
3. Ashamed
4. Make Up Your Mind
5. Leave Me Out
6. The Obvious
7. Inside My Head
8. Pure
9. Can’t Take This