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CROSSFADE
CROSSFADE
Anno di grazia 2004 d.C.: il nu-metal conserva ancora qualcosa da dire? L’eco degli sfarzi quantitativi e qualitativi delle passate stagioni va ormai spegnendosi e le macerie dell’impero della nuova generazione del metal statunitense (e non) si sgretolano precipitando lungo la ripida fase calante della parabola che ebbe il suo picco intorno al brillante biennio 2000/2001.
Come nei migliori sondaggi demoscopici il fatidico quesito viene dunque girato all’uomo della strada… passante di turno in quella che – fino a poco tempo fa – era la trafficatissima via maestra della nu-metropoli è una giovane band al debutto sulla piazza discografica: nonostante la fretta di farsi notare, i “ritardatari” Crossfade, sembrerebbero ben disposti a rispondere all’interrogativo della nostra inchiesta.
Al fine di inquadrare il “campione” interpellato, si procede primariamente alla raccolta dei dati anagrafici e biografici dello stesso: i Crossfade sono originari della South Carolina e non vanno perciò confusi con l’omonimo gruppo proveniente dalla Svezia (né con i techno-metallari Crossbreed); nonostante il fresco esordio, il quartetto è attivo (seppur con differente moniker: prima The Nothing, poi Sugardaddy Superstar) fin dal 1999; la formazione comprende il cantante e chitarrista Ed Sloan, il bassista Mitch James, il DJ e co-vocalist Tony Byroads ed il batterista Brian Geiger; alla domanda circa le proprie fonti di ispirazione e di riferimento, i quattro citano pressoché all’unisono artisti quali Metallica, Korn, Queensrÿche, Cypress Hill, Queen, System Of A Down, Clutch, Aerosmith e Placebo…
La parola viene poi lasciata all’intervistato: il monologo si protrae lungo dieci tracce per circa mezzora di discorso (34 sono i minuti di durata di questo self-titled full-lenght…); la lingua parlata presenta i tipici accenti dell’idioma nu-metal: chitarre dal suono “pieno”, melodie radiofoniche abbinate a refrain cantabili, il tutto condito da inflessioni di differente provenienza. Tra un rock radiofonico alla Hoobastank (“So far away”) ed un pezzo sulla scia dei Saliva (“The deep end”), nel sound dei Crossfade spuntano marcati rimandi al grunge, o meglio al nu-grunge “da classifica” proprio di sodalizi quali Nickelback (“Starless” e “Colors”) e Puddle Of Mudd (oppure Cold: questo è infatti il titolo del primo singolo, “Cold”); la sigla dei P.O.D. viene iscritta in calce a quelle canzoni dell’album che presentano versi rappati, vale a dire innanzitutto “No giving up”, ma anche “Death trend setta” e “Disco”, mentre i due brani rimanenti – “Dead skin” e la conclusiva “The unknown” – sono dei semi-unplugged sulla falsariga di Staind ed Incubus (nell’interpretazione di Ed Sloan manca però la vena toccante di Aaron Lewis e Brandon Boyd).
Al termine dell’esame del sopradescritto esemplare di “band nu-metal, annata 2004”, la domanda viene riproposta: il suddetto genere musicale conserva ancora qualcosa da dire? I Crossfade espongono – concisamente ma con efficacia – le proprie ragioni con gli argomenti dell’ascoltabilità, della modernità e dell’elasticità… il problema sta nel fatto che, per quanto gradevoli da sentire e risentire, tali discorsi sono già stati pronunciati da decine e decine di altri oratori… Alzi perciò la mano chi serba qualcosa di nuovo da dire.
Silvio52
Voto: 5,5
TRACKLIST:

1. Starless
2. Cold
3. So Far Away
4. Colors
5. Death Trend Setta
6. The Deep End
7. No Giving Up
8. Dead Skin
9. Disco
10. The Unknown