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ILL NIÑO
ONE NATION UNDERGROUND
L’esordio datato 2001 degli Ill Niño fu applaudito come la spezia esotica capace di pepare il mondo del nu-metal: ciononostante, il flamenco, la rumba e i tamtam sudamericani subirono un palpabile ridimensionamento nel – non esaltante – disco successivo… “One nation underground”, il terzo lavoro della caliente banda del New Jersey, tenta di ritrovare perciò l’attitudine prettamente latin-metal del passato, affidandosi tanto per incominciare alla produzione di Eddie Wohl del team Scrap 60, già responsabile dell’assistenza tecnica di buona parte di “Revolution/Revolución”. Recupero della propria identità o scelta di comodo? La concorrenza nella nicchia del metal latino è infatti ben scarsa (vista la latitanza dei Puya, l’appannamento dei Sepultura e la facile convivenza – a parte gli screzi con l’ex Marc Rizzo –con i Soulfly), il genere però piace ancora ed i sei “niños malati” hanno tutte le carte in regola per ambire al titolo di governatori di questa piccola ma calda “nazione sotterranea”…
La campagna elettorale degli Ill Niño appare fin dal principio ruffiana e accomodante: il primo singolo “This is war” – tra un refrain cantabile ed uno sfogo alla Max Cavalera – palesa delle ripartenze di chiara scuola metal-core; il sound metal che va per la maggiore di questi ultimi tempi viene riproposto anche in occasione di “My resurrection”, “Violent saint” ed elevato all’ennesima potenza con “Turns to gray”, vista l’ospitata del cantante degli Hatebreed Jamey Jasta. Sorge il dubbio che l’introduzione di tale componente voglia fungere da sondaggio in vista di un’eventuale futura conversione totale: l’indice di gradimento rimane però sostanzialmente neutro di fronte a siffatti “esperimenti”.
Il programma propagandistico degli Ill Niño non strizza l’occhio solamente ai patiti delle sonorità “core”: il bacino d’utenza dei “consumatori” di un certo metal melodico è potenzialmente ben più vasto ed appetibile e canzoni più leggere come “All I ask for” (cantato pulito, semplice e molto piacevole), “My pleasant torture” (una sorta di latin-grunge o un semplice pizzico di malinconica “saudade”?!), “What you deserve” (tra Papa Roach e Linkin Park si fa largo una tastiera alla Still Remains), la discretamente evocativa “Everything beautiful” e la strumentale “Barely breathing” (che pur impallidisce dinnanzi agli omologhi episodi di casa Soulfly) sono furbescamente dedicate a simili platee… ma queste “furbizie” vengono tollerate di buon grado, visto e considerato l’ineliminabile ed anzi ben gradita parte pop presente in quasi ogni disco di metal moderno.
Un altro elemento del sound degli Ill Niño che appare visibilmente migliorato è quello relativo all’elettronica: dai discontinui scratches e campionamenti degli inizi si è giunti oggi a ben più convincenti inserti di keyboards e a strutture di programming (Omar Clavijo continua però ad essere considerato un membro non ufficiale della formazione). Appaiono esemplari in tal senso, in particolare, “Corazon of mine”, dove la commistione tra beat e percussioni sfiora la perfezione, “De la vida”, il cui sottofondo elettronico rimane impresso fin dal primo ascolto, e “In this moment”, che riflette le trovate industrial-metal di seconda generazione degli Static-X.
Nel ballottaggio decisivo pesano su “One nation underground” un certo sentore generale di già ascoltato in precedenza, un utilizzo dello spanglish azzardato e contestabile (“La liberacion of our awakening”) ed uno sfruttamento ancora non ottimale della dote latina (i progressi percussionistici compensano solo in parte le chitarre flamenco-acustiche ancora freddine e zoppicanti di Ahrue Luster…): “Ill Niño for president”, nonostante simili pecche? A voi la scelta, i seggi sono aperti.
Silvio52
Voto: 6,5
TRACKLIST:

1. This Is War
2. My Resurrection
3. What You Deserve
4. Turns To Gray
5. De La Vida
6. La Liberacion Of Our Awakening
7. All I Ask For
8. Corazon Of Mine
9. Everything Beautiful
10. In This Moment
11. My Pleasant Torture
12. Barely Breathing
13. Violent Saint