Per molti artisti la musica è una faccenda tremendamente seria, è un mezzo per comunicare dolore, rabbia e frustrazione, per gridare il proprio disagio o propagandare i propri ideali; non è il caso dei Bloodhound Gang… la concezione musicale condivisa dalla compagnia di Jimmy Pop equivale ad una sorta di burla, una barzelletta (sconcia) raccontata tra amici al solo scopo di suscitare approvazione ed ilarità e che, inevitabilmente, finisce per contagiare e rallegrare anche i meno propensi alla risata.
Che la missione dei Bloodhound Gang – qui al loro quarto album, pubblicato a ben sei anni di distanza dal fortunato “Hooray for boobies” – sia dunque quella di distrarre l’ascoltatore dalle preoccupazioni e dai piccoli e grandi problemi quotidiani? O, meno reconditamente, fanno semplicemente ciò di cui sono maggiormente capaci… e cioè i buffoni di professione?
Impossibile rimanere indifferenti, anzitutto, davanti all’improponibile immagine di copertina di questo “Hefty fine”: un “modello” non propriamente in forma smagliante, in costume adamitico e rintanato in un’angusta scatola di cartone… ancora prima di schiacciare play, volenti o nolenti, la prima risata è stata strappata… Dopo il breve intro parlato “Strictly for the tardcore”, che canzona il “cattivo” Eminem ed il povero Will Smith, “Balls out” ci ricorda – non si sa mai! – che i comici della Gang del Segugio a tempo perso sanno anche destreggiarsi con gli strumenti musicali: ecco un pezzo, come si suol dire, “con le palle”, puro nu-metal/rap-core, beffardamente macho, ben pesante e pure un po’ mansoniano; la terza traccia è il primo singolo estratto dall’album: “Foxtrot Uniform Charlie Kilo” è un pop-rock radiofonico che ripropone spiritosamente uno dei chiodi fissi della band (il sesso: notare le iniziali delle parole che compongono il titolo)… È poi la volta di un sorprendente gioiello a base di new wave e disco-elettronica… chi ha tolto i Bloodhound Gang e ha messo i 30 Seconds To Mars?! Questa volta non è uno scherzo, “I’m the least you could do” è proprio una canzone targata BHG! Con “Farting with a walkman on” e “Diarrhea runs in the family” si passa, però, dalle stelle alle stalle: il primo è l’episodio peggiore dell’album, un pezzo lento, troppo minimale e fiacco mentre il secondo è un intermezzo di dubbio gusto che fa – ascoltare per credere – letteralmente defecare… Si torna a ragionare (?) con il pop-punk brufolosamente “emo” di “Ralph Wiggum” (dedicato all’omonimo personaggio dei Simpson) e soprattutto con la seconda meraviglia del disco, una sregolata trovata gothic hip-hop intitolata “Something diabolical” che vede il divino quanto inaspettato intervento della voce del compassato leader degli H.I.M., Ville Valo. Superato un ultimo, disutile intervallo (“Overheard in a wawa parking lot”), gli sketch seguenti sono costituiti dal punk della divertente “Pennsylvania”, dalla “tamarraggine” techno-house di “Uhn tiss uhn tiss uhn tiss” e dal ragguardevole crossover (eh già, con lo stile Bloodhound Gang la definizione di “crossover” non va certo sprecata, è bene comunque tenerlo a mente) di “No hard feelings”… ride bene chi ride ultimo, poi, con la brevissima e sarcastica traccia nascosta.
I Bloodhound Gang dunque ci sono o ci fanno?! Quel che davvero conta è che i menestrelli guidati da Jimmy Franks dimostrano, sulla base di un album giusto un po’ meno comico e spassoso rispetto ai loro precedenti canoni, di saper svolgere egregiamente anche il mestiere di musicisti di assoluto valore… musicisti sopra le righe, buontemponi e lazzaroni (la durata del disco è piuttosto bassa, le canzoni effettive si riducono a nove) che vantano il pregio di comunicare nel linguaggio universale del buonumore.