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STATIC-X
START A WAR
La guerra degli americani si combatte ogni giorno in televisione. Sembra un reality show ma i morti sono terribilmente veri. In diretta sulla CNN, il Presidente degli Stati Uniti dice che i nemici, gli adoratori del terrore si chiamano Iraq ed Afghanistan. Missili e proiettili sono sparati in nome della libertà e della giustizia, ideali storpiati che puzzano di sangue, petrolio e denaro sporco. La guerra – gioco dei potenti che reclama le vite di pedine innocenti – è il pane quotidiano per milioni di onesti e patriottici mangiatori di apple pie.
La guerra degli Static-X non si chiama Iraq o Afghanistan, né tantomeno Vietnam. Quello degli Static-X è un tumulto interiore scatenato dalle battaglie di tutti i giorni, una ribellione all’insostenibile conflitto mediatico, alla sofferenza fatta spettacolo e sacrificata sull’altare a 32 pollici dell’infotainment (ovvero quel concetto di giornalismo di intrattenimento già denunciato con fantascientifica perspicacia quasi dieci anni fa dai Pitchshifter), nonché una reazione ad avvenimenti specifici come l’omicidio di Dimebag Darrell – freddato sul palco durante un concerto da uno squilibrato – e l’infamante arresto del chitarrista Tripp Eisen, accusato di avere commesso atti di abuso sessuale nei confronti di una minorenne. Questa è stata la proverbiale goccia che ha fatto traboccare il vaso: il leader Wayne Static non ci ha pensato due volte ed ha licenziato in tronco il presunto pedofilo, riassumendo al suo posto Koichi Fukuda, il musicista di origine giapponese che aveva già suonato nel ’99 su “Wisconsin death trip”, prima di essere sostituito proprio da Eisen.
La “guerra” sembrerebbe l’unica soluzione plausibile per fare tabula rasa di un biennio infarcito di orrori; il quarto x-disco – “Start a war” – offre pertanto, per certi versi, degli Static-X diversi da quelli freddi e meccanici di “Machine” oppure da quelli ombrosi di “Shadow zone”: il già caldo contesto sociale americano, unitamente agli accennati fatti di cronaca, hanno segnato inevitabilmente il quartetto, contribuendo a renderne più verace ed istintiva la musica.
La tattica bellica – approntata dal colonnello Static con l’aiuto dello stratega di fiducia Ulrich Wild, richiamato in cabina di produzione dopo la parentesi di Josh Abraham – prevede innanzitutto una serie di raid veloci e devastanti: il bombardamento a tappeto inizia bersagliando l’indicativa “The enemy” e prosegue con maggiore precisione con “I’m the one” e con la title-track, in cui si mira alla fascia situata tra la trincea della spigolosità ed il quartier generale dell’orecchiabilità. La sequenza di blitzkrieg (le prime quattro canzoni si attestano tutte sui due minuti e mezzo di durata) si interrompe con “Pieces”, dopodiché – è il momento di “Dirthouse” – prende in mano il comando delle operazioni il bravo batterista Nick Oshiro, alla sua prima prova su disco. Per una “Skinnyman” che esibisce qualche assonanza con Rob Zombie, c’è una “Just in case” che spia tra gli appunti di Trent Reznor; il filo conduttore di un album palesemente votato ad una rabbia frustrata prosegue con “Set it off” e con “I want to fucking break it”, mentre con “Night terrors” viene mostrato un po’ il fianco. L’assalto finale avviene su un triplice fronte: “Otsego amigo” è feroce industrial-grind, “My damnation” si esprime con terminologie new wave e la finale “Brainfog” è un esempio concreto di electronic body music.
Cessate le ostilità, gli Static-X si ritrovato a contemplare il risultato delle proprie belligeranti schermaglie: “Start a war”, pur non apportando particolari ritocchi innovativi al quadro stilistico della band di Los Angeles, si fa apprezzare per la propria schiettezza e carica energetica, caratteristiche che lo rendono ideale come valvola di sfogo in caso di stress e nervosismo.
Silvio52
Voto: 7
TRACKLIST:

1. The Enemy
2. I'm The One
3. Start A War
4. Pieces
5. Dirthouse
6. Skinnyman
7. Just In Case
8. Set It Off
9. I Want To Fucking Break It
10. Night Terrors
11. Otsego Amigo
12. My Damnation
13. Brainfog