I Deftones fanno discutere. "Saturday Night Wrist" fa discutere. Discussioni generate dal forte richiamo inevitabilmente legato ad uno dei nomi più importanti nel panorama del metal alternativo, discussioni che nascono ogni qualvolta una band di questo calibro presenta al mondo la propria nuova creatura musicale. Perchè il nome Deftones è un nome importante. Conseguenza naturale: futuristi (plaudenti alle nuove scelte) contro nostalgici (invocanti un ritorno al furioso passato). Scontro inevitabile.
Hanno seriamente rischiato di sciogliersi, di dividersi, di porre fine alla loro lunga avventura nonchè amicizia, difficoltà che ostacolano spesso il cammino della maggior parte dei gruppi; ma alla fine eccoli qua con un nuovo full-length sotto braccio, il quinto della carriera. Diretto figliol prodigo dell'amatissimo "White Pony", "Saturday Night Wrist" non mancherà di evidenziare ancor più marcatamente le differenze di palato della folta schiera di fans e ammiratori, fungendo da spartiacque tra chi lo considera un ottimo disco o addirittura un capolavoro e chi lo considera invece un testamento musicale preannunciante una fine di carriera ormai inevitabile.
La verità, si sa, di solito sta nel mezzo: perchè se è vero che non bisogna per forza aggredire le orecchie degli ascoltatori per fare un buon disco, è anche vero che un disco troppo morbido - o sperimentale, come è usanza dire - comporta effetti collaterali individuabili in sensazioni di noia e calo dell'interesse. Perchè se è vero che i Deftones sono indiscutibilmente maestri inarrivabili nel creare melodie trasognanti, non significa che una produzione impregnata quasi totalmente di tali melodìe risulti per forza di cose un masterpiece. Il troppo stroppia.
"Saturday Night Wrist" è chiaramente un lavoro che vorrebbe solleticare le emozioni di chi sta ad ascoltare: i due soli sprazzi aggressivi, di cui uno di buona fattura ("Rapture") ed uno alquanto discutibile ("Rats!Rats!Rats!"), vengono castrati da un complessivo 'andamento lento' che permea l'intera tracklist. L'apertura della cantilenante "Hole In The Earth" esemplifica immediatamente in quale direzione si muoverà l'album: un costante tentativo di giocare con gli attimi, con i sospiri, con i sogni, con l'intimità, con le emozioni... un viaggio onirico che renderà felice però solo chi riuscirà effettivamente a compierlo per intero, solamente chi riuscirà a resistere anche ai passi falsi disseminati qua e là e che minano la credibilità della compagine di Chino Moreno. La release si barcamena tra momenti affascinanti che riescono nell'impresa di toccare corde emotive come "Beware", "Xerces" (la migliore) e "Kimdracula", brani affabili ma poco spumeggianti come "Cherry Waves" e "Rivière", tracce anonime come "Combat" o addirittura dimenticabili come "Mein" (dove la presenza di Serj Tankian serve solo ad evidenziare ancor più la pochezza di questa canzone), una traccia a mio avviso interessante ma completamente fuori contesto come "Pink Cellophone" ed una traccia strumentale totalmente inutile, ossìa "U,U,D,D,L,R,L,R,A,B,Select,Start" (titolo ispirato ad un codice utilizzato per ottenere trenta vite extra in un celebre videogame degli anni '80 chiamato "Contra").
Ma questo è naturalmente solo una soggettiva oggettività, come in tutte le cose del mondo.
Come sempre e più di sempre, "Saturday Night Wrist" è un altro album che si apre a mille e non più mille interpretazioni diverse e paradossalmente tutte giustificabili: è un disco che si può amare, ignorare o deprecare, è un disco che può emozionare e può annoiare, è un disco che si può comprare e non comprare. Ma è inconfutabile che tutte queste contraddizioni siano tra loro legate da un unico filo conduttore: i Deftones hanno stile. Che può piacere e non piacere. Così è la vita.