Ventidue anni di carriera, tredici album all'attivo, ammirazione da parte di grossi nomi quali Mike Patton (il quale non si è lasciato scappare l'occasione di portarseli in casa Ipecac), Devin Townsend, Trent Reznor, Sascha Konietzko, Al Jourgensen e perfino il Duca Bianco David Bowie, mentre gente come Chemical Brothers, Prodigy, Daft Punk, i Subsonica e - perchè no? - anche i Rammstein hanno spesso pescato (inconsapevolmente?) a piene mani dal loro repertorio. Questi i numeri che accompagnano gli svizzeri The Young Gods, questi i dati che in un certo qual modo giustificano l'auto-definizione di 'Giovani Dèi' scelta dal fondatore Franz Treichler come moniker di questo progetto musicale.
Come un attento mastro profumiere che impegna gli anni di vita alla ricerca dell'essenza perfetta combinando tra loro ingredienti diversi, così fanno in campo musicale i The Young Gods.
Ogni profumo racchiude tre accordi. L'accordo di testa, di cuore e infine di base. L'accordo di testa racchiude la prima impressione, dura pochi minuti prima di lasciare il posto all'accordo del cuore, il tema dominante del profumo che dura alcune ore e infine l'accordo di base, la scìa del profumo che dura alcuni giorni. Questa regola è oro per gli svizzeri, impegnati a distillare l'essenza sonora con elementi che miscelano rock, new-wave ed elettronica impreziosita da passaggi in territori ora metal ora ambient ora psichedelici ora etnico-tribali.
L'elettronica è il riferimento principe, l'accordo del cuore, il tema dominante: gli svizzeri trovano il proprio habitat naturale in mezzo a sintetizzatori, multicampionando chitarre elettriche costruite su parti di drumming in presa diretta, stuzzicando il palato con quella sensazione di rock che viene spesso sublimata in bombardamenti computerizzati.
La mente viene avvolta da una piacevole confusione, ipnotizzata da affascinanti immagini sonore che proiettano i pensieri in un non-territorio al di fuori di ogni controllo, vincendo l'inerzia terrena della banalità a colpi di beat convincenti che si sciolgono proprio quando pensi che il sound si stia assestando su livelli di continuità periodica; la fantasia viaggia, creandoci l'illusione di mondi virtuali collegati tra loro da un fortissimo legame, un filo conduttore indissolvibile che grida inneggiando agli Giovani Dèi europei.
Il virus digitale è contagioso, sebbene "Super Ready/Fragmenté" non sia propriamente considerabile un disco dall'impatto immediato: l'alone di mistero che circonda la tracklist rivela allettanti nuovi elementi ad ogni nuovo ascolto, con la conseguenza di regalare all'ascoltatore un clima di curiosità che deve essere necessariamente soddisfatta da ulteriori ascolti.
Ma si sa, alla fine lo studio ripaga sempre.