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TOMAHAWK
ANONYMOUS
Riecco i Tomahawk: per il combo nato tra il 2000 ed il 2001 dall’incontro tra il multiplo Mike Patton ed il chitarrista dei Jesus Lizard Duane Denison arriva l’ora del terzo disco. Sono stati definiti una “superband” (il terzo elemento è il drummer John Stanier – ex Helmet ed attualmente impegnato anche con i newcomers Battles – mentre il quarto era il bassista Kevin Rutmanis, proveniente dai Melvins… “era” visto che costui ha abbandonato il gruppo durante la lavorazione del disco…) e si è parlato di loro come del progetto “meno complicato” di un Mike Patton cui notoriamente piace trastullarsi tra grind-ambient, experimental-trip-jazz e voli pindarico-sonori affini… qualcuno addirittura si è spinto oltre, valutando l’alternative-rock dei Tomahawk, ascoltato sull’ellepì omonimo del 2001 e su “Mit gas” del 2003, come la naturale prosecuzione dell’operato dei mitici Faith No More. A quanto pare i Tomahawk hanno preso tali considerazioni come un affronto (accusare Patton, in particolare, di immobilità equivale ad indirizzargli contro il più becero e vile degli insulti!): stop, è arrivato il momento di cambiare strada e di seminare i nostalgici della band di “Epic”… ed il polveroso sentiero appena intrapreso conduce alle riserve abitate dal fiero popolo dei Nativi Americani. Bisogna subito dare a Cesare quel che è di Cesare: per una volta il merito di questo colpo di testa non va riconosciuto al moto perpetuo della mente pattoniana; l’input di “Anonymous” non deriva infatti dalla passione di Mike per Ennio Morricone e dunque per lo spaghetti western all’italiana di Sergio Leone ma, meno tortuosamente, dal forte interesse per la cultura musicale degli indigeni nordamericani maturata da Denison in seguito alla collaborazione con il root-rocker Hank Williams III e ad un susseguente e meticoloso lavoro di ricerca. Questa lodevole attività di archeologia musicale, oltre a dissotterrare l’ascia di guerra – ah, non bisogna dimenticare che il “tomahawk” non è altro che la tipica accetta da battaglia indiana! –, ha portato quindi alla luce un ampio paniere di temi, arie e sonorità databili approssimativamente intorno alla seconda metà del diciannovesimo secolo, un patrimonio dell’umanità che è stato liberamente ed ossequiosamente ripreso dalla trinità dei Tomahawk nelle tredici tracce di “Anonymous”.
Si comincia con “War song”, un pezzo ambientale (Fantômas-style?) imbrunito da un disegno di gravi vocalizzi, e si passa subito alla litania di “Mescal rite 1” (chissà come si dice “head-banging” in dialetto cherokee?!) ed alle trascinanti percussioni tradizionali – tamburi e mani – della “Ghost dance”; ecco quindi la prestanza psichedelica – sarà l’effetto del fumo del calumet della pace? – di “Red fox” ed il “ghost town blues” di “Cradle song” (uno dei pochissimi brani dell’album cantato in lingua inglese). La danza rituale circolare “Antelope ceremony” conduce al serrato minuetto progressive rurale di “Song of victory”, a sua volta preludio dell’electro-ambient in cinemascope intitolato “Omaha dance”. La raggiante chitarra di “Sun dance” risveglia il grande spirito celeste del rock, mentre la dolcezza della seconda cerimonia Mescal vale una discesa nei campi del trip/hip-hop; la chiusura è affidata alla sacralità corale di “Totem” ed alla metafisica “Crow dance”… infine il fuoco si spegne con la solitudine cowboy delle note di “Long, long weary day”.
I capitribù pellerossa onorari “Toro Seduto” Denison, “Cavallo Pazzo” Stanier e “Geronimo” Patton ratificano il solenne trattato di “Anonymous”: selvatico, energico ed ancestrale, il terzo Tomahawk è un nobilissimo disco di alternative-world music, una vivida visione concepita più di un secolo fa e rimasta oggi intrappolata nell’acchiappasogni della Ipecac Recordings.
Silvio52
Voto: 7
TRACKLIST:

1. War Song
2. Mescal Rite 1
3. Ghost Dance
4. Red Fox
5. Cradle Song
6. Antelope Ceremony
7. Song Of Victory
8. Omaha Dance
9. Sun Dance
10. Mescal Rite 2
11. Totem
12. Crow Dance
13. Long, Long Weary Day