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SEVENDUST
CHAPTER VII: HOPE & SORROW

Settima fatica per una delle band storiche di quello che era (dato che ormai il termine è fuori moda…) il Nu Metal. Un gruppo che per diversi anni ne ha cavalcato l’onda negli States senza mai riuscire a fare il salto nel Vecchio Continente. Settimo come parte del nome del gruppo e prontamente i ragazzi in questione ce lo fanno notare nel titolo. Capitolo Settimo: Speranza & Dolore. In pratica si legge “settimo capitolo: noi e gli Alter Bridge” dato che le due title track si avvalgono della corposa collaborazione da parte dei maggiori esponenti di questa ultima band, Tremonti e Kennedy. Potrebbe voler dire: da soli è dura.
Effettivamente è veramente dura per una band arrivata al settimo full length cambiando pochissime virgole nei sei precedenti album.  Considerati personalmente in fase di declino, dopo l’apice raggiunto con "Animosity" e "Seasons", e con un ultima release ("Alpha") che a mio giudizio è la peggiore della loro storia.
Da qui però veniamo alle note positive. Torna Clint Lowery e ne esce proprio colui che l’aveva rimpiazzato Sonny Mayo, mai riuscito a far rimpiangere il rientrante. Un'altra certezza ci viene dalla sempre brillante interpretazione della capacissima ugola di Lajon Witherspoon, da sempre il marchio di fabbrica della band.
La nuova/vecchia line up più la collaborazione, anche se solo per due tracce, con due musicisti del valore dei componenti degli Alter Bridge porta una ventata di novità per i Sevendust fin troppo avari in tal senso negli, ormai più di dieci, anni di carriera.
Questo settimo capitolo parte forte con la tiratissima "Inside" con taglienti e pesanti riff, la voce cupa e tenebrosa di Lajon nelle strofe che si lascia andare nel ritornello pulito. È uno standard Sevendust, un buon inizio.
Come spesso accade ai Sevendust il buon esordio viene replicato paritetico nella seconda traccia in brutta copia. "Enough" a questo punto finisce per sminuire "Inside".
Fortunatamente il paracadute per la monotonia compositiva a cui ci hanno abituato i Sevendust arriva presto, "Hope" è la prima title track e vanta il sapiente apporto di Mark Tremonti chitarrista e leader dei Creed prima e degli Alter Bridge attualmente. Il miglior indicatore per valutare l’impegno di Tremonti in questa collaborazione è sicuramente la diversità che contraddistingue "Home" da qualsiasi pezzo dei Sevendust degli ultimi due album. La variazione di ritmo è molto più marcata, le chitarre hanno un approccio totalmente diverso dalle precedenti tracce. Da questo songwriting composito e sicuramente più vario ne giova soprattutto la splendida voce di Lajon, mai così esaltata nell’ultimo lustro.
Grazie ad "Home" anche la successiva "Scapegoat" risulta più orecchiabile e cattura maggiormente l’ascoltatore, tale risultato cambia se vengono ascoltate tre tracce uguali di seguito. Provate a togliere "Home" ascoltando la 1, la 2 e la 3…
I Sevendust non ci smentiscono con il pezzo successivo… sorvoliamo. Degna di nota risulta essere invece la canzone interpretata con Chris Daughtry, il vincitore di American Idol, in pratica un Amici di Maria De Filippi americano e, fortunati loro, senza la Maria De Filippi. Il pezzo è una ballata coinvolgente in cui il buon Daughtry sfoggia una performance niente male. Da approfondire.
Non me ne vogliano a male i fans dei Sevendust, ma "Prodigal Son" è ancora e sempre la stessa solfa. Merita qualche parola in più invece "Lifeless" che risente un po’ di più delle contaminazioni esterne al gruppo soprattutto nell’uso delle chitarre con l’introduzione di un po’ di distorsione.
Dopo due canzoni 7dustiane ecco un altro pezzo di matrice esterna. Qui la contaminazione del songwriting di Miles Kennedy è molto più marcata rispetto all’influenza degli altri due ospiti apparsi precedentemente. Inoltre la voce suadente del frontman degli Alter Bridge crea un valore aggiunto inestimabile in un album dei Sevendust dove la testardaggine nel proporre sempre cose simili rimane un limite invalicabile.
Chiudono due buone tracce dal ritmo incalzante e chorus melodico per non farci dimenticare, se mai ce ne fosse stato bisogno, il way of life del gruppo.
Per dare un giudizio bisogna separare le 3 tracce frutto di collaborazioni dal resto dell’album. Senza di loro questo settimo capitolo risulta un classico album Sevendust, migliore di "Alpha" sicuramente.
Le tre tracce in questione risultano essere proprio il valore aggiunto di questo lavoro. L’astuta mossa di alternarne una ogni due tracce evidenzia i limiti di inventiva e la notevole ripetitività mostrata dai Sevendust. La sufficienza la raggiungono pienamente ma almeno metà del giudizio va condiviso con gli interpreti esterni. Alla fine cosa rimane...

NMT
Voto: 6,5
TRACKLIST:

01. Inside
02. Enough
03. Hope (featuring Mark Tremonti)
04. Scapegoat
05. Fear
06. Past, The - (featuring Chris Daughtry)
07. Prodigal Son
08. Lifeless
09. Sorrow (featuring Miles Kennedy)
10. Contradiction
11. Walk Away