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BLACK STONE CHERRY
FOLKLORE AND SUPERSTITION

Nello stato del Kentucky gli alcolici non godono della libera commercializzazione e fumare sigarette della marca “Black Stone” al gusto di ciliegia è pressoché il massimo della trasgressione che gli abitanti si concedono. Fortuna che qualcuno di loro si diletta con la musica.
I Black Stone Cherry sono un gruppo giovanissimo che viene da questo stato. Hanno pubblicato un omonimo debutto attraverso un etichetta che difficilmente si fa scappare i nuovi talenti presenti sulla scena: la Roadrunner.
Si sono presentati come ottimi interpreti della nuova scena post Grunge traendo spunti da Stone Temple Pilots e Soundgarden con una vena pulsante di Southern Rock alla Black Crows.
Per questo secondo full length decidono di virare decisamente verso il secondo genere sopraccitato aumentando, proprio come dice il titolo, quel legame con le loro origini e con un sound ben più datato nel tempo.
Il risultato è un netto miglioramento che fa passare la band da un buon debut album che esprimeva tutta la sua scanzonata giovinezza ad un opera matura,  ragionata e per certi versi addirittura istruttiva per l’ascoltatore. I quattro di Edmonton (nel Kentucky come detto, nulla a che vedere con il Canada) esplorano tutte le sfumature dell’Hard Rock con capacità e cognizione di causa.
Nonostante il primo singolo, l’opener “Blind Man”, non sia il giusto esempio di quello che ho appena scritto rimane un ottimo pezzo con un ritornello orecchiabile da passaggio radiofonico in stile Nickelback. Come sappiamo la Roadrunner ha l’occhio lungo sulle vendite.
Questa seconda fatica dei Black Stone Cherry presenta un sound molto più rallentato rispetto al suo predecessore, lo si può subito godere nel easy listening rock di “Please Come In” e in quello più hard di “Reverend Wrinkle”.
In “Soul Creek” si rivedono comunque le influenze Grunge del primo lavoro con una notevole strizzatina d’occhio agli Alter Bridge.
Giunge la prima ballata con tanto di piano, un pezzo nel quale ci si può leggere dentro tanto AOR (Adult Oriented Rock) in una rivisitazione personale del sound dei Mr. Big. Tanto di cappello direi.
Come contro altare compare “The Bitter End” sicuramente il pezzo più tirato del lotto nel suo cadenzato grunge con le chitarre al limite del trash. “Long Sleeves” permette al frontman Chris Robertson di giocare a fare lo Steve Tyler e soprattutto a mostrare di avere la personalità per farlo.
“Peace is Free” e “You” sono due ballate piacevoli di puro rock nostalgico. Coinvolgente “Devil’s Queen” con il suo rock-blues frizzante.
Ancora in cerca di paragoni autorevoli con “The Key” i Black Stone Cherry si avventurano sul terreno tipico dei Soundgarden, nello scream di fine ritornello il frontman dei BSC sembra veramente Chris Cornell. Salgono addirittura di livello con “Sunrise”, traccia con venature reggae.
Chiude il fantasma di tale signor Floyd Collins senza nulla aggiungere a quanto già espresso ma con il compito di imprimere bene le arie espresse dal gruppo nella mente dell’ascoltatore. Obbiettivo raggiunto grazie ad un chorus azzeccato.
Qualcuno già li mette nell’olimpo dei gruppi del Southern Rock. In fin dei conti dopo il primo album erano considerati un buonissimo prospetto. Ora migliorandosi hanno più che confermato le aspettative. Purtroppo ora se non sei Emo per sfondare col grande pubblico, soprattutto nel genere proposto dai Black Stone Cherry, ti devi “nickelbackizzare”. La sensazione è che a loro riesca bene ma, come avete potuto leggere, i paragoni illustri sono tanti. Tutto sta nello stabilire la linea di confine tra influenza e “scopiazzatura”. Ingenuamente mi piace credere alla prima.

NMT
Voto: 6/7
TRACKLIST:

1.  Blind Man 
2.  Please Come In 
3.  Reverend Wrinkle 
4.  Soul Creek 
5.  Things My Father Said 
6.  The Bitter End 
7.  Long Sleeves 
8.  Peace Is Free 
9.  Devil's Queen 
10.  The Key 
11.  You 
12.  Sunrise 
13.  Ghost Of Floyd Collins