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SLIPKNOT
ALL HOPE IS GONE
Nove ragazzi mascherati e senza nome, solo numeri da zero ad otto. Tute da lavoro, codici a barre e lo sfondo di una  sperduta cittadina dell’Iowa. Des Moines è la capitale dello Stato stesso e conta poco più di duecentomila abitanti.
Un odio atavico per le loro origini e l’esplosione di un miscuglio di sentimenti quali la rivalsa e la voglia di fuggire diventano la spinta per creare una nuova proposta nel panorama metal mondiale.
Nascevano gli Slipknot: questo succedeva ben più di dieci anni fa. Dopo l‘omonimo esordio, che stravolge e sconcerta datato 1999, ecco che i nostri si ripetono due anni dopo in “Iowa” rimanendo sullo stesso standard del primo album per poi inciampare  tre anni dopo in “Vol.3: The Subliminal Verses”. Da quasi quattro anni non se ne sentiva parlare, per uno studio album almeno. Live e DVD non contano.
In un anno in cui i mostri sacri del metal più o meno classico (nelle sue varie sfumature) quali Metallica, AC/DC, Motorhead, Alice Cooper, Mötley Crüe risorgono dalle proprie ceneri sbandierando ritorni alle origini del proprio sound, “All Hope Is Gone” arriva quasi in sordina a ribaltare i valori in campo.
Le premesse per una band che definisce i suoi fans con l’appellativo di “maggots” (vermi) non sono mai banali. Questo appellativo è frutto della visione che hanno dal palco i 9 mascherati durante le sessioni live: una serie di corpi che si accavallano e si contorcono tra e su se stessi a ritmo di musica. Una definizione che oltre a rendere bene l’idea di ciò che succede sotto il palco rende giustizia alla causa primaria di questo accostamento tra persone e vermi: la musica degli Slipknot. Potente, rabbiosa, psicotica e alienante.
Ora però dopo più di dieci anni di lavoro bisogna iniziare a considerare più variabili. L’equazione risultante è un sistema complesso che porta l’esperienza dei tanti membri del gruppo. Soprattutto nelle loro collaborazioni esterne al “Nodo a Scorsoio”. È ovvio il riferimento alle due principali personalità del gruppo: Corey Taylor e Joey Jordison.
Arrivati a questo punto del percorso di vita degli Slipknot un cambiamento era semplicemente naturale e puntualmente è arrivato con “Vol.3: The Subliminal Verses”. Probabilmente in modo troppo prematuro.
Viene così accantonato il produttore Rick Rubin, reo di aver portato il gruppo sulla cattiva strada nel precedete album, in favore di un più accondiscendente ma comunque navigato Dave Fortman. Tanto accondiscendente da concedere di registrare l’album proprio nella tanto odiata Des Moines.
L’inizio è già un esplosione di concretezza granitica e rabbiosa, dopo un intro di quasi due minuti “Gematria” rispolvera ritmi pesanti e veloci da headbang vorticoso.  È quindi il tempo di spingere sull’acceleratore con “Sulfur” dalla strofa incalzante e dal chorus melodico. “Psychosocial” si ammorbidisce un po’ senza snaturare l’andamento dell’inizio dell’album. Se si voleva proporre qualcosa di nuovo l’impatto che ne risulta è decisamente convincente con tre pezzi in cui Thrash, Death e Industrial si contorcono su se stessi proprio come i già citati vermi e tengono alta la testa con ritornelli forse un po’ ruffiani ma sicuramente coinvolgenti.
A smorzare i toni interviene “Dead Memories” che sicuramente farà storcere il naso ai veri vermi. Qui vengono fuori quelle tonalità di colore prettamente Emo frutto della moda del momento e delle esperienze esterne dei membri del gruppo. A suo favore gioca però il fatto che, in una canzone a tutta voce pulita, le corde vocali di Corey si fanno veramente notare. Difficile trovare un timbro di voce così coinvolgente nel panorama attuale. Il singer si fa valere per la sua grande capacità di interpretare i testi più che limitarsi a cantarli.
Poco da dire hanno le successive due tracce, “Vendetta” e “Butcher’s Hook”, tanto che in una proposta di 15 brani si potevano tranquillamente evitare (nell’edizione limitata che ho tra le mani).
La sincopata follia del songwriting e appunto l’interpretazione di Corey fanno di “Gehenna” un inquietante e depressiva cavalcata musicale da psicosi.
Cattiva e ruvida “This Cold Black” fa ripartire l’album sullo stile di “Iowa”. Meglio ancora “Wherein Lies Continue” propone in perfetto Nu l’accoppiata di riff granitici e chorus orecchiabile.
È quindi la volta di “Snuff”: per me da sola vale l’acquisto dell’album. Non saprei dire chi a spezzato il cuore di Corey ma questa ballata straziante entra nel nella testa dell’ascoltatore e ne paralizza i sensi.
Risente tantissimo dell’influenza degli Stone Sour, progetto parallelo di Taylor e Root (chitarra), assomigliando troppo all’altrettanto bellissima “Bother” ma vivendo comunque di luce propria.
Chiude l’album la title-track con un increscendo di riff da mitragliatrice M60.
Se come già detto avete tra le mani l’edizione limitata vi trovate ad ascoltare tre bonus tracks quali “Child of Bourning Time”, insipida, un remix di “Vermillion Pt. 2”, bellissima essendo probabilmente il miglior pezzo del precedente album, e “Til We Die”, ballata doc per esaltare l’ugola del singer.
Come al solito devastante la prova di Joey Jordison alla batteria inimitabile nell’imprimere un ritmo sferzante ai pezzi pesanti e nel valorizzare i tempi dei pezzi più lenti.
“All Hope is Gone” è un album diverso dalle prime due furie espresse dal gruppo e sicuramente più valido e meno ipocrita della precedente release. Non vanta la compattezza di “Iowa” e l’innovazione portata dall’omonimo debutto ma ci consegna una band matura e che forse si sentiva un po’ persa ma sulla quale ora si può contare attraverso un album fatto di qualche ottima canzone, un valor medio più che sufficiente e solo poche cadute di stile.
Le influenze dovute alle esperienze Nu-Grange di Taylor certo si fanno sentire e smorzano la rabbia tipica del sound della band ma valorizzano quella che strada facendo diventerà il vero valore aggiunto per il gruppo: una fusione tra la brutalità musicale di tre strumenti a corde e tre tipi di percussioni e la voce calda e trascinante del singer.
Il giudizio oscilla tra la sufficienza (allora siete dei vermi incalliti e storcete il naso… ma sono pur sempre gli Slipknot!) e l’ottimo (in questo caso vi sentite appagati da questa versione più potente degli Stone Sour). Una media rende giustizia all’ottimo prodotto offerto dal ritorno degli Slipknot.
NMT
Voto: 7
TRACKLIST:

01. Execute
02. Gematria (The Killing Name)
03. Sulfur
04. Psychosocial
05. Dead Memories
06. Vendetta
07. Butcher's Hook
08. Gehenna
09. This Cold Black
10. Wherein Lies Continue
11. Snuff
12. All Hope is Gone

*Bonus tracks limited edition

13. Child of Burning Time
14. Til We Die
15. Vermillion Pt. 2 (Bloodstone Mix) (Bonus Track)