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DILLINGER ESCAPE PLAN
OPTION PARALYSIS

Molto spesso le recensioni iniziano con frasi ad effetto, tipo questa. E’ un espediente stilistico che cattura l’attenzione del lettore, e forse il trucco narrativo più vecchio del mondo.
Una frase ad effetto è come entrare per la prima volta nella vita di qualcuno e voler subito mostrare i propri talenti, un po’ come fecero i Dillinger Escape Plan con “Calculating Infinity” nel vetusto 1999. Ricco di tecnica, inventiva e pura follia compositiva, è divenuto nel corso degli anni un gioiello non di un genere, ma di un nuovo modo di intendere la musica estrema.
In seguito la band saluta l’avvento di Mike Patton dopo la dipartita del vocalist Minakakis, ma solo per il tempo di dare alla luce uno straordinario EP intitolato “Irony Is A Dead Scene”. Il resto è storia recente: con l’arrivo di Greg Puciato alla voce il gruppo impara ad amare la melodia e l’elettronica consegnando al nuovo millennio uno splendido ibrido come “Miss Machine”, e grazie ad una presenza scenica in sede live dall’impatto incredibile, divengono sempre più un punto di riferimento per generazioni di musicisti.
E nel 2007, decidono di devastare e spiazzare il loro pubblico con un machete sonoro intitolato “Ire Works”, album strambo, frammentario e geniale (da sostituire liberamente anche con ‘irritante’ a seconda dei casi) in cui melodia e furia si scambiavano di posto in modi del tutto imprevedibili.
Ora, con questo “Option Paralysis”, la sferzata si fa ancora più radicale, in quanto questo album non lascia spazio a dubbi: i DEP sono cambiati. Ma rimanendo radicalmente gli stessi.
Difatti, dentro questo lavoro c’è tutto del loro vecchio repertorio: riffing dalla tecnica così elevata da causare vertigini, ritmiche assassine alla velocità della luce, hardcore, metal, elettronica, industrial, jazz, lounge e melodia. Su questa ultima parola cade l’accento in “Option Paralysis” e non stiamo parlando di ritornelli ruffiani fatti per scalare le classifiche delle peggiori chart di tendenza, ma un melodico raffinato ed accattivante che si sposa perfettamente con architetture musicali devastanti. E non è una cosa da poco, affatto. La voce di Puciato, una perfetta ed equilibrata sintesi (seppure a volte sfiori quasi il plagio) tra il sopra citato Patton e Trent Reznor, riesce con estrema facilità a saltare dall’urlato più viscerale al ritornello carezzevole, senza mostrare alcuna forzatura. Ma è questa eccessiva naturalezza nell’alternare la quiete al caos che serba gli elementi frutto di un probabile dissenso da parte dei fan, che potrebbero percepire una svolta melodica così drastica come un furbo e scontato espediente per richiamare maggiore attenzione su di loro, la famigerata virata definita dai puristi “manovra commerciale”.
Sebbene molte, tante, troppe volte tali giudizi gravitino attorno ad una malcelata ristrettezza di vedute, da parte di un appassionato dei DEP è anche un voler glissare sulla loro fondante tendenza ad evolvere la loro proposta, la quale tende mai verso facili approdi (da quando è considerato un facile espediente la melodia? Diversi compositori defunti sosterrebbero il contrario) e sempre considerando la dinamicità e l’ambiguità della scelta come chiave non per mantenere vivo l’interesse verso la loro proposta (con la storia musicale che hanno alle spalle, potrebbero anche vivere di “rendita”), ma come risposta ironica alla stessa immobilità nel compiere scelte radicali riportata dal titolo dell’album stesso, che colpisce un numero sempre maggiore di persone e gruppi.
“Option Paralysis” per questo nasce come un unicum, un organismo, un meccanismo talmente perfetto da assumere una dignità propria, tanto che un’analisi ‘track-by-track’ avrebbe del tutto svilito quanto di speciale ha da offrire questo lavoro sia all’appassionato che all’ascoltatore occasionale: il secondo sfruttando quello che è il loro lavoro più accessibile (e ciò non lo rende per nulla un ascolto facile, sia chiaro) per arrivare a conoscerli (e nel caso, amarli), mentre al primo resta il compito arduo di spogliarsi dei propri preconcetti per saggiare il frutto del cambiamento, che può essere dolcissimo o terribilmente amaro.
Di fronte ad un album così sottile e dall’appeal così ampio, qualsiasi voto appare una formalità a dir poco restrittiva. Che venga rimarcata l’importanza del fruitore, e che sia sua, una volta tanto, la scelta del giudizio.

Matteo

TRACKLIST:

01. Farewell, Mona Lisa
02. Good Neighbor
03. Gold Teeth On A Bum
04. Crystal Morning
05. Endless Endings
06. Widower
07. Room Full Of Eyes
08. Chinese Whispers
09. I Wouldn't If You Didn't
10. Parasitic Twins