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KIDS IN GLASS HOUSES
DIRT
Approccio questo secondo lavoro dei gallesi Kids in Glass Houses con il giusto mix di curiosità e ignoranza. Non li conosco e non li ho mai sentiti prima d’ora, ma mi è capitato di imbattermi in un pezzo loro e mi è piaciuto. Questa premessa serve più che altro a spiegare come mai, questa volta, da me non avrete alcun tipo di notizia riguardo la band in questione, ma solo il racconto di come suona questo disco per il sottoscritto.
Il disco si apre con “Artbreaker I” ed il primo pensiero che ho formulato nel sentirla è stato: “I Lostprophets hanno fatto uscire due dischi nel giro di un mese?”. I riff, i cori e persino il cantato nella strofa si muovono sulla sottilissima linea che separa la citazione dal plagio e l’effetto lascia un po’ interdetti, ad essere onesti. Il tempo di stupirsi però non c’è, perché parte uno di quei ritornelli talmente ruffiani da risultare sublime, guarnito per giunta da un cantato strozzato oggettivamente ridicolo, ma nel complesso azzeccatissimo. Insomma, la dichiarazione di intenti della prima traccia è chiara per tutti: qui si fa pop-rock-punk alla fragola e senza compromessi. La cosa a me sta anche bene, a patto che venga fatto come si deve, quindi via con le tracce seguenti. “The best is yet to come” potrebbe essere figlia di una relazione tra gli ultimi Funeral for a Friend ed i primi Simple Plan mentre “Sunshine” è la traccia che mi ha portato ad ascoltare questo disco. Trattasi di un polpettone fake-emo che potrebbe anche aver scritto Jared Leto, ma che in qualche modo mi risulta accattivante nonostante i falsetti urticanti del cantante, ormai idolo per tutte le sfumature imbarazzanti che riesce a dare alla voce. Si continua con “Matters at all”, “Youngblood (Let it out)” e “Lilli Rose” e la solfa è sempre la stessa. Probabilmente avrete sentito questi pezzi spalmati in qualche teen movie e se non erano questi, beh, erano pezzi identici scritti semplicemente da qualcun altro. In alcuni passaggi di “Lilli Rose” il vocalist, sempre lui, prova a percorrere le orme del Daryl Palumbo versione Head Automatica e l’assonanza tiene, nonostante tutto, ma premiare per la capacità emulativa è ben lungi dal mio modus operandi. “Giving Up” a questo punto suona quasi come un consiglio, perché andare avanti è dura. Ormai siamo al pop-punk svergognato, ma tengo duro e riesco ad arrivare alla traccia successiva che quantomeno ha il pregio di tornare su ritmi allegrotti. Compaiono delle trombe, giusto perché al peggio non v’è fine, ed il trasformismo di questi ragazzi tocca le sponde dello ska-core anni novanta mettendo in scena una personalissima interpretazione dei Less then Jake di “Hello Rockview”. Se Brachetti suonasse in una band sarebbe il leader dei Kids in glass houses. “Undercover lower” la ascolto con la testa altrove così come “Maybe Tomorrow”. La sensazione di già sentito continua, ma sta volta il riferimento non mi sovviene immediato e non ho certo voglia di spremermi il cervello per capire da dove arrivi l’ispirazione a questo giro. Scusatemi. “The morning afterlife” è una coltellata. Una ballatona semiacustica a questo punto non me la meritavo proprio e accuso il colpo. A fine traccia entrano i distorsori e la melodia mi strappa un cenno d’apprezzamento, ma decisamente nulla più. Il pezzo in compenso dure sei minuti che sembrano sedici. “Hunt the haunted” ripropone i falsetti, ma questa volta la traccia è proprio oscena e così mando avanti per giungere alla conclusiva “Artbreaker II”, ripresa del pezzo d’apertura nonché di uno dei momenti migliori del disco. Tredici canzoni sono troppe per un disco del genere, dieci l’avrebbero reso senza dubbio più accessibile. A questo punto dovrei valutare l’opera, ma non credo proprio sia necessario. Durante l’ascolto mi sono chiesto più volte a cosa possono mai servire dischi di questo genere e l’unica risposta che mi sono dato è che vanno tenuti in macchina e sfoderati quando la ragazza con cui stai uscendo ti chiede, sorridendo, se può avere una tregua dalle urla animalesche che escono dalle casse. A quel punto si può sfoderare questo “Dirt” e farla contenta per quasi cinquanta minuti nella speranza che lei faccia altrettanto in seguito. Ecco, se dopo un ascolto dovesse chiedere il bis, il consiglio è di mollarla in autogrill.
Manq

TRACKLIST:

01. Artbreaker I
02. The best is yet to come
03. Sunshine
04. Matters at all
05. Youngblood (Let it out)
06. Lilli Rose
07. Giving up
08. For better or hearse
09. Undercover lower
10. Maybe tomorrow
11. The morning afterlife
12. Hunt the haunted
13. Artbreaker II