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ENVY ON THE COAST
LOWCOUNTRY

Devo ammettere che ero piuttosto fiducioso a riguardo del nuovo album degli americani Envy On The Coast, forse una delle uscite discografiche che più attendevo quest’anno vista la piacevole impressione che la band mi aveva fatto con il suo primo disco “Lucy Gray”, di certo non un lavoro sconvolgente ma che attraverso canzoni come “Mirrors” o “Artist and Repertoire” evidenziava che c’erano grandi potenzialità ancora in parte inespresse. 
Un ottimismo il mio che è stato ampiamente ripagato da questo nuovo “Lowcountry”, uscito a marzo e già entrato di diritto nella mia personale classifica dei dischi migliori dell’anno ancora in corso.
Non è semplice spiegare a parole la musica del quintetto di Long Island, perché se per semplicità si potrebbe ricondurla all’emo-rock per la presenza di melodie avvincenti ed immediate, nella realtà abbiamo molto di più, ci sono vari richiami agli ambienti musicali più disparati, si va dal post-hardcore di Glassjaw e At The Drive-In al crossover degli Incubus che insieme confluiscono all’interno di una miscela sonora tanto multiforme quanto dannatamente solida ed efficace.
Si aprono le danze con le schitarrate southern-rock di “Death March, On Two, Ready?” e subito ci si cala nell’intrigante mood dell’album, dove le 12 tracce non sempre seguono strutture lineari ma talvolta si lasciano trascinare dalla vena creativa dei singoli musicisti, dotati di una tecnica invidiabile e diretti abilmente da un front-man di tutto rispetto come Ryan Hunter.
Proprio quest’ultimo, che addirittura ha sostituito in sede di registrazione il partente batterista Dan Gluszak, rappresenta il vero fulcro di ogni brano, la vera forza motrice della band attraverso il suo stile vocale versatile capace di alternare delicati sussurri (“Like I Do”) a momenti di pura follia (“Clean Of You”), tra urla schizofreniche e passaggi vicini al rythm'n blues di scuola Daryl Palumbo (Glassjaw/Head Automatica).
Anche nei momenti più aggressivi gli Envy On The Coast riescono a mantenere vive le proprie influenze più pop, riuscendo a piazzare al punto giusto ritornelli di più ampio respiro che centrano il bersaglio al primo colpo, senza suonare forzati, inserendosi in maniera fluida e naturale tra cambi di marcia inaspettati e parentesi invece più ricercate e sperimentali (“Head First In The River” o “Numb” ne sono chiari esempi).
Rispetto al debutto di tre anni fa abbiamo oggi molta più carne al fuoco, molto più materiale sul quale fare un attenta valutazione, perché questi ragazzi sono cresciuti, hanno arricchito il proprio bagaglio personale di nuove esperienze e si dimostrano molto più convinti delle proprie capacità e qualità, una convinzione che traspare chiaramente dalle loro nuove canzoni.
Riuscire a portare alla mente un capolavoro come “Make Yourself” dei sopraccitati Incubus attraverso una canzone come “The Great American T-Shirt Race” mantenendo intatta la propria identità non è cosa da poco ed è un’ulteriore prova del talento di questi giovani.
Non mi voglio dilungare molto ma concludo col dire che “Lowcountry” è un lavoro sorprendente, che ad ogni ascolto acquista valore aggiunto e conferma gli Envy On The Coast come una delle realtà più promettenti del panorama alternative internazionale.
Da tenere d’occhio perché saranno famosi.

Whitelocust
Voto: 8
TRACKLIST:

01. Death March, On Two, Ready?
02. The Devil's Tongue
03. Head First In the River
04. Puritan Dirt Song
05. Laugh Ourselves to Death
06. The Great American T-Shirt Race
07. Southern Comfort
08. *
09. Like I Do
10. Numb
11. Made Of Stone
12. Clean Of You