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BULLET FOR MY VALENTINE
FEVER
La nostalgia è forse l’arma più subdola del mondo. E anche la più vendibile. Lo sanno bene i Bullet For My Valentine, che nel 2005 esordirono con un prepotente richiamo a generi quali heavy metal, hard rock e glam amalgamati in salsa metalcore intitolato The Poison . Un lavoro,  checché ne dicano i numerosissimi detrattori,  di ottima fattura e notevole per un gruppo esordiente.
Dopo aver frantumato classifiche e cuori (anche grazie ai testi del frontman/chitarrista Matt Tuck pregni di romanticheria spiccia), nel 2008 la lama a doppio taglio del “fattore nostalgia” scocca il suo primo affondo con il loffio "Scream, Aim, Fire"; il gruppo è risucchiato dagli stessi stilemi che contribuirono al loro successo passato, dando alle stampe un album incolore e schiacciato da una mancanza di ispirazione devastante, dove la citazione musicale assume quasi il connotato del plagio.
L’uscita di "Fever" a questo punto segna una piccola svolta, dove questi giovinotti britannici devono provare di riuscire a far prevalere la personalità e non risultare solo una vendibile proposta derivativa.
L’opener “Your Betrayal” riesce dove il precedente singolo  “Scream, Aim, Fire” aveva fallito: compiacere ed esaltare l’ascoltatore con un’energica escalation di riff, senza peccare per eccessivi tecnicismi.
Le successive “Fever” e “The Last Fight” proseguono sulla stessa scia: grande carica, ottima tecnica, e una innata propensione anthemica.
Sorprende l’inevitabile ballata “A Place Where You Belong”, che oltre a rimarcare l’inettitudine di Tuck come paroliere, ribadisce come i BFMV posseggano un grande talento nel saper coniugare melodia e furia con naturalezza.
E per una volta, la produzione stellare di Don Gilmore (pigmalione dei Linkin Park e altri “artisti” discutibili) è votata ad evidenziare ogni componente del gruppo e il suo strumento incrementando la coesione dell’opera tutta, cosa evidente soprattutto nell’ottima “Alone”, dove la parte orchestrale non sovrasta mai il riffing dell’accoppiata Tuck/Paget.
Nonostante la debole seconda ballata “Bittersweet Memories” e un pezzo pregno di auto-plagi come “Breaking Out, Breaking Down”, "Fever" riesce a confermare non solo il talento di questa band, ma a segnare la loro definitiva vittoria nell’eterno scontro tra derivazione e personalità grazie ad una tenace ricerca dell’equilibrio.
Matteo
Voto: 6,5
TRACKLIST:

01. Your Betrayal
02. Fever
03. The Last Fight
04. A Place Where You Belong
05. Pleasure and Pain
06. Alone
07. Breaking Out Breaking Down
08. Bittersweet Memories
09. Dignity
10. Begging For Mercy
11. Pretty On The Outside