Gli Open Hand erano stati una delle sorprese rock del 2005 grazie al loro secondo album "You And Me", che aveva colpito quasi in toto la critica ma che non ha saputo imporsi poi sul mercato, visto il proliferare in quel periodo delle tante band clone che cavalcavano l'onda lunga del successo dei Queens Of The Stone Age.
A distanza di ben cinque anni i nostri ci riprovano con "Honey", un album ancora più maturo, strutturato e complesso, in cui oltre alle solite influenze stoner (Queens Of The Stone Age e Kyuss per citare le più evidenti) che stanno alla base del sound della band come in "Herrons" o "The Hand", ritroviamo anche piacevoli passaggi pop rock (mai eccessivamente commerciali o ruffiani) in cui la doppia voce maschile/femminile funziona a dovere come sulla traccia "Bre".
Le influenze di questo "Honey" sono veramente molteplici: in "Son Of A Gun" sembra quasi di sentire la darkwave del periodo più rock dei The Cure, per poi arrivare a "Old Hat" che pare prendere ispirazione ancora una volta dai QOTSA, nel caso specifico dal singolo "Sick Sick Sick". La novità assoluta è rappresentata dal crossover di "The Valley" in cui vanno a braccetto rock ed hip hop.
Insomma, sicuramente gli Open Hand hanno dimostrato ancora una volta (se mai ce ne fosse stato il bisogno) di non essere una band banale e di sapere fare musica di qualità come pochi altri in questi periodo; il qui presente "Honey" è dunque un album che bissa le buone impressioni ottenute dal precedente "You And Me" e porta con sé la speranza di lasciare un'impronta ben più significativa all'interno del panorama del rock alternativo. Bravi ragazzi!