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KORN
KORN III - REMEMBER WHO YOU ARE

1994, 1996, 2010. Terzo capitolo della saga Korn & Ross Robinson, il super produttore del metal alternativo degli anni novanta che dopo quattordici anni di distanza torna a collaborare con la band che aveva portato alla ribalta tentando di riportarla ai fasti di un tempo dopo i tanti scivoloni degli ultimi anni: ci sarà riuscito?
Per poter meglio rispondere a questa domanda ho pensato di analizzare il nuovo "Korn III - Remember Who You Are" track by track.
Dunque cominciamo questo viaggio all’interno del nono album dei Korn e vediamo se questo più volte citato ritorno alle origini c’è stato oppure no:

UBER-TIME: è l'intro che ci apre le porte dell'album, un semplicissimo arrangiamento di chitarra su cui un personaggio non ben specificato (non saprei dire se è Davis, comunque mi pare di no) comincia a parlottare. Sul finire d'intro l'arrangiamento diventa un riff crescente che da' poi il via al primo singolo "Oildale" anticipato dalla frase “Uber-Time” ripetuta più volte. Fin qui ancora tutto tranquillo anche se l'uso di una intro ci rimanda comunque ai Korn degli anni '90.

OILDALE: come già detto è il primo singolo dell'album che parte con un riff groove old school che fa molto Korn del 1994, ma la produzione molto più pulita ed il cantato di Davis portano spesso anche al più recente "Untouchables". Efficace la melodia del ritornello, di quelle che più la ascolti e più ti rimane in testa; per il resto non credo di dover aggiungere altro visto che il pezzo è in circolazione da più di un mese... posso solo dire che i Korn paiono proprio essere tornati quelli di qualche anno fà.

POP A PILL: Partenza martellante con riff veloci e pesanti, anche qui dalle prime note si respira un pò l'aria del '94 a cui si aggiunge una certa dose di "Take A Look In The Mirror" ( mi pare di sentirci qualcosa di "Y'all want a single"). Da segnalare la prova di un Jonathan Davis rinvigorito e ringiovanito tornato alle sue vecchie melodie malate e vocalizzi sofferti. Tutto sommato "Pop A Pill" è un buon pezzo dall'impatto live assicurato.

FEAR IS A PLACE TO LIVE: l'apertura è molto simile a quella del pezzo precedente, qui troviamo un Davis dalla melodia più filtrata (figlia degli ultimi album) che lascia poi spazio nella parte centrale della canzone a parti sussurrate ed opprimenti accompagnate dai riff di Munky che paiono strappati da "Life Is Peachy". Sul finire del brano ritroviamo un Davis pieno di collera alla vecchia maniera che caccia fuori urla al limite del death metal. Altro brano dedicato alla vecchia guardia!

MOVE ON: ecco il classico brano "alla Korn" dei Korn, il momento più atteso dell'album insomma, con un apertura che ricorda il vecchio cavallo di battaglia "Blind", quindi riff pesanti come macigni a cui segue il parlato sussurato (quasi timido) di Davis che sembra voler trovare una certa intimità tra sè e l'ascoltatore prima dell'splosione del ritornello che ti mette una gran voglia di cantare a squarciagola prima di farti reimmergere nella rabbia e frustrazione di Jonathan. Che botta!

LEAD THE PARADE: Pezzo un po' da decifrare, anche qui si risentono i vecchi Korn con un mix di 1994 e 1996 anche se la batteria della new entry Ray Luzier pare cominciare a diventare un pelino troppo ripetitiva e affidarsi un pò troppo spesso al doppio pedale. Comunque anche in "Lead The Parade" ritroviamo ancora delle parti veloci (forse proprio dovute allo stile di Luzier) unite ad un ritornello di facile assimilazione. La particolarità più evidente del brano è il passaggio funky che troviamo a metà strada in cui duettano Luzier e Fieldy (finalmente in tutto l'album si risente il suo basso slappato ben in evidenza) con un Davis che assiste canticchiando creando un’atmosfera ancora una volta riconducibile a "Life Is Peachy".

LET THE GUILT GO: Anche qui aleggia l’ombra di "Life Is Peachy" con un Davis ancora più schizzoide e sempre più deciso a voler ricalcare le sue vecchie interpretazioni (era ora aggiungo), anche qui troviamo una parte canticchiata ed interpretata con sofferenza che precede il solito sfogo, con la melodia del ritornello che strizza un po’ l’occhio alla vecchia “Somebody Someone”. Pezzo non malvagio, forse solo un po' troppo scontato anche se risentire i Korn così malati ed arrabbiati è comunque un piacere.

THE PAST: è l'anello debole della catena, c'è una discreta melodia nel ritornello ma il pezzo non sembra proprio aver voglia di decollare definitivamente, forse anche troppo lento, se non fosse per quei campionamenti un pò gothic che abbiam imparato a conoscere con "Issues" e "Untouchbles" potrei quasi dire che il sound puzza un po' di Alice In Chains. A poco serve il finale con l'ennesimo richiamo ai vecchi suoni, "The Past" pare essere proprio la pecora nera del gregge.

NEVER AROUND: è uno dei pezzi più riusciti dell'album assieme a "Move On", qui pare esserci una fusione tra l'album omonimo, "Issues" e "Untouchables" in cui convivono groove e atmosfere dark/gothic in cui risalta ad un certo punto la risata isterica di Davis soffocata dai riff di Munky ancora una volta pescati dal serbatoio dei primi anni '90 (forse si sente pure un pizzichino di Coal Chamber).

ARE YOU READY TO LIVE?: dal titolo sembrerebbe un chiaro rimando al "are you ready?" di sedici anni prima, in realtà si tratta di due canzoni completamente diverse. "Are You Ready To Live?" è forse il pezzo in cui si sente di più la mancanza di Head, il solo Munky con le chitarre sovraincise per forza di cose non può avere la stessa fantasia di due menti messe assieme, ma nonostante tutto il brano si distingue per un ritornello centralle molto ben interpretato da Davis che pare sussurarci all'orecchio: "are you ready to live? Are you ready to die?" prima di sfogarsi (ancora una volta) con urla e frasi quasi singhiozzanti.

HOLDING ALL THESE LIES: è il pezzo che chiude il nostro viaggio all'interno dell'album anche qui "Korn" e "Issues" paiono andare a braccetto in un pezzo che ha anche un certo retrogusto epico nelle melodie (quando Davis non si incazza) e Munky si produce in una specie di assolo che ricorda in parte quello abbozzato nella vecchia canzone "Haze" composta per il videogioco omonimo. Il brano e di conseguenza anche l’album si chiude con un Davis in lacrime completamente esausto.

Commento finale: Bèh ragazzi, diciamocelo francamente, il qui presente album non è un capolavoro ma ci riconsegna comunque una band a degli standard che pensavamo non fossero più raggiungibili dopo le dipartite di Head e Silveria (Chitarra e Batteria). Davis tenta in tutti i modi di tornare ad essere quello che era, ed in parte ci riesce; il nuovo batterista Luzier si guadagna onestamente la sua pagnotta (anche se pare un po’ troppo ossessionato dal doppio pedale) ma non ha quell'impostazione funky/jazz di Silveria che era fondamentale per il vecchio sound. Sì, potrei dire che questo "Korn III" è un discreto album che tenta di tornare alle radici della band a cui manca solo un po' di quella fantasia che i vecchi membri non più presenti garantivano per poter essere considerato un buon album. Almeno chi aveva spalancato le braccia in segno di disappunto dopo la pubblicazione di "See You In The Other Side", l'Untitled e forse anche "Untouchables" avrà finalmente pane per i suoi denti; direi che nella discografia della band "Korn III" si piazza onorevolmente a metà classifica sgomitando con "Take A Look In The Mirror". Considerando che alla produzione era tornato Ross Robinson forse ci si poteva aspettare qualcosina di più, ma tenete ben presente che per tanti motivi i Korn di oggi non possono più essere come i Korn di ieri, io ho comunque apprezzato lo sforzo e ringrazio la band per questa full immersion di ricordi.

UnderD
Voto: 7
TRACKLIST:

01. Oildale (Leave Me Alone)
02. Pop A Pill
03. Fear Is A Place To Live
04. Move On
05. Lead The Parade
06. Let The Guilt Go
07. The Past
08. Never Around
09. Are You Ready To Live?
10. Holding All These Lies