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DREDG
Realizzata il: 18/07/2011
Autore: Valentina Bernocco
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Abbiamo chiacchierato con il simpatico Mark Engles, chitarrista dei Dredg, subito dopo il concerto del 17 giugno al Land of Live di Legnano: ecco cosa ne è uscito.

Sono trascorsi meno di due anni dal loro ultimo passaggio in Italia, nell’autunno 2009, ma il tempo passa velocemente per un gruppo che, come i Dredg, continua a fare del cambiamento la propria cifra stilistica. Il salto fra The pariah, the parrot, the delusion e il loro ultimo Chuckles & Mr Squeezy, pubblicato a maggio sotto l’egida del produttore Dan The Automator, è stato però decisamente più radicale rispetto alle evoluzioni del passato e ha provocato reazioni disparate tra i fan. Un fatto, però, mette tutti d’accordo: l’impatto live del quartetto di Los Gatos, San Francisco, è più energico e sorprendente che mai. Di questo e altro abbiamo chiacchierato con il simpatico Mark Engles, chitarrista della band, subito dopo il concerto del 17 giugno al Land of Live di Legnano (Mi). Una piccola location che non ha smorzato gli entusiasmi dei quattro musicisti, reduci da una serie di grandi palchi in vari festival europei. Tant’è che Engles ci confessa: “Non mi divertivo così da settimane”. E chissà che non tornino molto presto a trovarci…


Groovebox: Ciao Mark, grazie per il tuo tempo.
Mark Engles: Figurati!

 

GB: Allora, come è andato il concerto?
ME: Fantastico! Ci siamo divertiti tantissimo. Eravamo molto stanchi, perché soltanto ieri abbiamo suonato in un festival a Helsinki e poi siamo volati qui.

 

GB: In effetti in questa leg europea del tour avete suonato in parecchi festival.
ME: Sì, diversi festival, ma abbiamo anche aperto un paio di concerti per i Linkin Park.

 

GB: E poi all’arena di Wuhlheide, a Berlino, avete aperto il concerto dei System of a Down. Com’è andata?
ME: È stato incredibile. C’era il sold out, con 17mila persone, e i System sono persone adorabili, che sanno metterti a tuo agio. Il pubblico era scatenato! E non ci hanno odiato! (ride)

 

GB: Non credo sia possibile odiarvi…
ME: Beh, eravamo un po’ preoccupati perché i SOAD fanno un genere molto più duro rispetto al nostro. Ma è andata molto bene. 

 

GB: Passare da una grande venue a un piccolo locale come quello di stasera non vi fa suonare con meno entusiasmo?
ME: No, anzi questa sera in questo piccolo club qui a Milano mi sono divertito più di quanto non accadeva da una o due settimane!

 

GB: La scaletta è stata interessante, perché avete mescolato brani vecchi e nuovi, arrangiando però questi ultimi in modo un po’ diverso rispetto alla versione di studio. Come mai questa scelta?
ME: Della setlist mi occupo io, è una mia responsabilità, e volevo che fosse chiaro che come band esistiamo da tanti anni e che oggi non siamo cambiati solo perché l’ultimo nostro album (Chuckles & Mr Squeezy, ndr) è diverso dai precedenti. Magari chissà, il prossimo disco sarà ancora completamente differente… Volevo mescolare repertorio vecchio e nuovo, far capire alla gente che noi siamo le stesse persone di sempre. Il nostro ultimo lavoro, in realtà, è una sorta di side-project. È un disco dei Dredg, ma con l’influenza di Dan The Automator. Il fatto che non assomigli ai nostri album precedenti non significa che abbiamo voluto stravolgere la nostra identità, ma solo realizzare un progetto con un nostro amico.

 

GB: Certo, l’ultimo album è diverso dai precedenti in modo abbastanza marcato, è sicuramente meno rock-oriented. Ma il cambiamento fa in qualche modo parte del vostro progetto artistico fin da sempre.
ME: Sì, infatti. E poi le canzoni in sé, se ci pensi, in realtà non sono molto diverse. Io e Gavin abbiamo fatto delle performance acustiche per alcune radio e in quella veste le canzoni suonano, per così dire, molto “normali” secondo noi. È semplicemente il fatto che, nella produzione sul disco, non ci siano chitarre rumorose e batteria potente a farle sembrare diverse.

 

GB: Durante i live, per le nuove canzoni, sul palco abbiamo visto alla chitarra un quinto componente, il vostro amico Ben Flanagan dei The Trophy Fire.  Per esempio su Down without a fight, quando tu passi alle tastiere e Drew (Roulette, il bassista ndr) si occupa delle percussioni aggiuntive…
ME:  Sì, avere un quinto componente ci aiuta e aumenta l’energia sul palco. A questo punto del tour ci sentiamo davvero bene, è da maggio che siamo in giro e ci sembra di avere una nuova scintilla.

 

GB: Prima hai accennato a un possibile nuovo album. State già lavorando a nuove canzoni o è troppo presto per pensare al futuro?
ME: Sappiamo che probabilmente torneremo a creare qualcosa insieme ma non sappiamo quando, dipende da quanto staremo in tour. Alcune band sono brave a scrivere canzoni on the road, ma a dire la verità non è il nostro caso. Di solito subito prima o dopo un concerto cerchiamo di non pensare alla band, ma questo non significa che essere in tour non sia una fonte di ispirazione. Sicuramente non vogliamo smettere di scrivere proprio adesso. Personalmente, penso che se per i Dredg dovesse esserci un ultimo album, non sarebbe Chuckles & Mr Squeezy, ma qualcosa che sentiamo come completamente nostro, mentre questo disco non rappresenta il tipico sound dei Dredg .

 

GB: Potreste anche non sciogliervi mai!
ME: Vuoi dire che quando avremo ottant’anni verrete ancora a sentirci? (ride)

 

GB: Certo, pensa ad artisti come Chuck Berry… Senti, a proposito del nuovo album, in alcune interviste avete spiegato che i pezzi sono stati scritti a distanza. Questo ha influenzato il risultato?
ME: In un certo senso sì. Gavin (Hayes, il cantante ndr) viveva a Seattle, io a San Francisco. Quando si suona tutti insieme in una stanza come una rock band metterci più energia viene naturale e la voce tende a un registro più alto perché deve letteralmente cantare sopra gli strumenti.  Lavorare a distanza, inviando dei file via email, comporta un maggior controllo ed è, in un certo senso, meno rock’n roll. Ma proprio perché in Pariah (il precedente album The pariah, the parrot, the delusion, ndr) c’erano, secondo noi, dei passaggi molto rock, era nostra precisa volontà realizzare qualcosa di diverso e, per così dire, “seguire l’onda”.

 

GB: Molti fan, in effetti, hanno apprezzato la qualità e la sperimentazione in Chuckles & Mr Squeezy. Ma c’è anche chi non ha accettato il cambiamento, chi addirittura voleva un altro El Cielo… Vi aspettavate questa reazione?
ME: Non sono rimasto sorpreso dal fatto che a molti non sia piaciuto, ma mi ha sorpreso totalmente il modo aggressivo e militante con cui alcuni hanno reagito, prendendola in modo molto personale. Come ti dicevo prima, solo perché abbiamo fatto un album diverso dagli altri non significa che noi siamo cambiati. Non so cosa facciano queste persone nella loro vita, ma qualsiasi lavoro facciano non riesco a immaginare di poterli criticare in modo così aggressivo, come se mi avessero fatto un torto personale. È musica, può piacere o no. Un altro fatto divertente è che alcune persone hanno scritto a Gavin ancora prima che l’album fosse pubblicato e lui ha risposto: ok, rispetto le vostre opinioni, ma non avete speso soldi e quindi perché siete così arrabbiati? Il problema non è il download in sé, tutti lo facciamo, ma scaricare qualcosa gratuitamente e poi lamentarsi…

 

GB: Ormai è diventato molto facile, con i social network, contattare gli artisti e immagino la cosa possa creare qualche problema a volte.
ME: È un dato di fatto che oggi si possa comunicare a un artista se un album ti è piaciuto o no, mentre dieci o quindici anni fa ne avresti solo parlato con gli amici. E, come Gavin ha raccontato in un paio di interviste, ci sono state persone che gli hanno scritto una seconda volta per dirgli che dopo alcuni ascolti l’album iniziava a piacergli… È strano. Potrei nominare registi o scrittori che con la loro arte hanno cambiato la mia vita, ma non mi verrebbe mai in mente di arrabbiarmi se un loro film o libro non mi piacesse, perché posso sempre aspettare quello successivo. È incredibile pensare che qualcuno possa arrabbiarsi per un album come se li avessimo feriti personalmente, anche se in un certo senso è un complimento perché evidentemente ci tengono davvero a noi. Però dovrebbero rilassarsi un po’! (ride)

 

GB: L’idea delle maschere di Chuckles e Mr Squeezy è piaciuta molto. Come è nata? So che si tratta di nomi di clown di cui vi ha parlato un vostro ingegnere del suono, o sbaglio?
ME: Sì, vengono da una storia su un rodeo circo… In America sono molto popolari, anche se io personalmente li odio! Insomma, l’idea di usarli è nata come uno scherzo, all’inizio non credevamo sarebbero stati il titolo dell’album ma poi continuavano a ritornare nei nostri discorsi. Drew è un artista e ha creato le maschere. Inoltre volevamo una fotografia in copertina, dato che tutte le nostre cover passate erano disegni o artwork e dato che il fratello di Drew è un fotografo. Le maschere in qualche modo rappresentano Dredg e Dan the Automator, sottolineano l’incontro fra due artisti così diversi. A essere sincero, non saprei dirti chi sia Chuckles e chi Mr Squeezy!

 

GB: Hai una canzone preferita su quest’album?
ME: Down without a fight.

 

GB: E che mi dici degli altri dischi dei Dredg? Li riascolti mai?
ME: No, non scherzare! (ride)

 

GB: Strana sensazione, un po’ come riguardare vecchie foto?
ME: Esattamente.

 

GB: E quando devi suonarle?
ME: È diverso. Quando sei sul palco sei dentro l’attimo e puoi fare ciò che vuoi di una canzone.

 

GB: In Italia gira la voce che non suoniate più canzoni dal vostro primo album, Leitmotif, perché avreste bisogno di una strumentazione particolare…
ME: Ma non è assolutamente vero! (ride) È solo che in Europa Leitmotif non è stato pubblicato nei negozi e quindi per alcuni fan è un po’ come se El Cielo fosse il primo album.

 

GB: Su YouTube c’è una vostra canzone, Holding a remedy potion, o meglio c’è un minuto di canzone. Ne esiste una versione integrale?
ME: Sì, quello è solo un estratto, ma è anche l’unica parte che ci piaceva. Il resto della canzone non ci ha mai convinto.

 

GB: Dopo l’Europa tornerete negli States. È vero che farete da opening act per un gruppo di cui siete fan? Puoi dirci di chi si tratta?
ME: Sì, è vero, ma non posso fare nomi perché non è ancora sicuro. Si tratta però di una band fantastica e molto potente e dovremmo suonare con loro a novembre. Prima, però, forse potremmo tornare in Europa.

 

GB:  Anche in Italia?
ME: Non siamo sicuri che l’Italia sarà inclusa, ma lo speriamo! E poi ci piacerebbe suonare in paesi dove sappiamo di avere molti fan ma dove non siamo mai stati, come Turchia e Russia.

 

GB: Bene Mark, grazie del tuo tempo. C’è qualcos’altro che vorresti dirci?
ME: Grazie a voi per l’intervista. Speriamo di poter conoscere altri nostri fan italiani la prossima volta che torneremo.


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